Basta solo svoltare l'angolo, ed ecco vedere in un qualsiasi volto l'anima in pena che cerca senso, consolazione, o anche solo un pizzico di considerazione. Siamo soli, in negativo: nel buio ; dovremmo essere soli, in positivo: illuminanti. Appena appena, ogni anima in pena sembra vagare per la città come avesse in mano un cappio, che con rabbia vorrebbe porre attorno al collo altrui, o con delusione vorrebbe attorno al proprio. Appeso a questa pena, ognuno di noi fa tristezza, compassione, ma non comunione: la paura della gioia ci attanaglia, ci stringe in una morsa, nessuna mossa possiamo fare, nessuna verità possiamo dire, nessuno possiamo più baciare, nemmeno col pensiero. Siamo quasi al testamento, considerando la situazione, se non vi fosse, proprio da dove eravamo partiti, un'ancora di salvezza. Facendo il replay dei nostri passi andiamo a retro (cosa che non vorremmo mai fare, noi che ci spingiamo sempre in avanti), ed ecco, proprio prima dell'angolo, lì davanti, in visione più ampia, panoramica e globale, sollevando gli occhi (mentre in genere li abbassiamo)...Che cosa, se non il triangolo, che ci fa vedere la perfezione del nostro procedere che va, oltre l'angolo fatto, a un angolo da fare, per farsi ricondurre - perfettamente - al nostro angolo?... "Il triangolo no, non lo aveva considerato…" nemmeno lui, anche se come noi lo aveva visto. Ma ora, anche grazie a lui, possiamo prenderlo in considerazione, sospendendo ogni impiccagione appena appena in tempo per la soluzione.
NUOVI VAGITI
Finchè c'è vita, c'è speranza, e finchè ce n'è, evviva il re. E questo per affermare la speranza non solo a parole e in augurio a tutti, ma per constatarla nei fatti di ogni giorno. Ogni giorno è denso di vagiti, che forse tra il caos e il traffico della città non riusciamo più a sentire. Ma se smorziamo anche solo un poco le orecchie che sentono da sempre solo ciò che interessa, e proviamo ad ascoltare con la gratuità del cuore, ecco che distinguiamo, tra il canto della cicala e il ritornello del passerotto, il timido e fragile ma chiarissimo vagito di qualcuno, e anche di qualcosa. Qualcuno che certo è già nato e dato per scontato, ma che vuole rinascere con il tuo ascoltarlo: che da nato vuol essere ora un rinato, a quella vita che ha perso o nella quale si è perso. E' vagito intriso di doglia, sì, perché oltre al dolore che si porta ha un estremo bisogno di nascere di nuovo a questo mondo che l'aveva messo a tacere, abortendo ogni sua possibilità. Qualcosa si accompagna a lui in questo vagito, perché ogni realtà che è stata oscurata nel suo nascere vuole ora essere illuminata e riprendere luce: venire alla luce di nuovo. Proprio per questo occorre porre un silenzioso e amoroso ascolto a questi vagiti che annunciano le doglie della città.
SOLUBILE O INSOLUBILE?
Ogni problema forse non ha la soluzione, però può essere immerso in una soluzione che pur rimanendo altro da esso, lo rende vivibile. Per cui, a conti fatti, conviene proprio dannarsi l'anima per un problema o una situazione, e volerne a tutti i costi venirne fuori e al più presto possibile, mentre occorre lasciarsi immergere nella soluzione e rimanere con pazienza a macerare proprio per non marcire e ammuffire? La soluzione di ogni problema - stiamo dicendo - è proprio la sua soluzione, che abbiamo davanti agli occhi; siccome però i nostri occhi sono offuscati o accecati da ira o altre simili passioni, non abbiamo più la visione oggettiva del reale e quindi non ci accorgiamo che dobbiamo immergere il problema proprio nella sua stessa soluzione. Ogni situazione, finchè non è immersa nella sua soluzione, è insolubile; ogni volta che invece la immergiamo in essa, viene gestita con solubilità, quindi è già risolta in se stessa, anche se resta materialmente, ma viene gestita in modo nuovo e con spirito diverso. La soluzione di ogni problema sta nello stesso problema immerso nella sua stessa soluzione.
L'ISOLA DI UAUH
Ognuno di noi sogna ogni tanto di evadere dal sistema, anche solo con la fantasia, se non può farlo al momento fisicamente e geograficamente. Comunque, senza spostarsi col corpo e senza vagar seguendo indicazioni sul mappamondo, c'è per tutti la possibilità di godersi la visione dell'Isola di Uauh, quell'oasi benefica, rilassante e tonificante sulla quale restare per qualche momento a purificarci da tutte le scorie e le avversità, a prendere un sole birichino che ti solletica e ti fa sempre sorridere e non vivere nell'ansia e nella paturnia tutte le cose che scorrono su di noi. Basta qualche attimo per sognare, fantasticare, e gratuitamente il viaggio per te è combinato, e sei arrivato. Puoi fare quel che vuoi e mangiare a più non posso, abbeverarti a ogni sorgente e tracannare ogni bevanda, anche alcolica, che non ti viene né colica né mal di testa, ma solo pienezza di gioia e sensazione di leggera follia, di serenità non meritata e miracolata da chissà chi. C'è solo da spalancare gli occhi per vedere e la bocca per contemplare, e per questo l'unica parola in quest'isola è "Uauh". Questo paradiso ti fa star bene per un po'; potrebbe continuare, ma solo a una condizione: vivere da solo, isolato dal mondo e da tutti. Sei sicuro di poterci stare?...
PECCO E RIPECCO
Pecco, e ripecco.
Ma che cosa è peccato?
Peccato è non fare, non cogliere occasione.
Che peccato! Non l'ho fatto! Eccolo, il vero peccato!
D'altronde, se fosse proprio male quel che faccio, non lo farei.
E' proprio qualcosa più grande di me, che non posso vincere?
Beh, in questo caso non ne avrei proprio alcuna colpa né peccato.
Ma se avessi coscienza che è male, non lo farei di certo.
Ma se lo faccio e lo rifaccio, se pecco e ripecco, per me è bene.
In quel momento esatto che lo faccio, è certamente bene.
Con i tempi che corrono, poi, che cos'è in fin dei conti il peccato?
Un'abitudine, un abito, che sarà pure dimesso, ma che ho addosso.
Pecco, e ripecco.
Non vale un gran che quello che faccio, ma lo faccio col cuore.
No, non ci sto a pensare.
E' passione, spinta e emozione.
Diciamo in altro modo: pesco e ripesco dal peccato quel che sono.
O meglio: quello che vorrei essere e che non sono.
Pescando nel peccato qualcosa di me ce lo trovo.
Ma non sono soddisfatto, per questo ripesco e ripecco.
Sperando di trovare e ritrovare sempre più qualcosa di me.
Pesco, pecco; e ripesco, ripecco.
Ecco, tutto qui.
OGGI SPOSI
Tutto a posto?
Banchetto, fiori, bomboniere, invitati?...
Musicanti e animatori, autista e limousine, addobbi vari?
Casa e chiesa...già, e la chiesa, la funzione della celebrazione?...
Sì.
Però lui non sapeva ancora dell'altro di lei.
Ma anche lei, non sapeva allora dell'altra di lui.
Quando dopo la festa e con una troppa sbronza si intuì la storia, a causa di qualche parola di troppo e lo sguardo particolare ai due invitati speciali, tra i due sorse dapprima un frenetico battibecco, poi qualche battuta di troppo, fino a giungere a battute vere e proprie che lasciarono il segno per molto ai due sposi novelli. La storia comunque si approfondì con il richiamo alla testimonianza non dei testimoni ufficiali, ma dei due ufficiosi che erano stati chiamati ora insieme a testimoniare, per l'una e l'altra parte, davanti ai due sposi i loro fatti e i misfatti avvenuti. Così, ognuno dei due raccontò la storia del proprio amore concubino e adultero ormai, scatenando ora da una ora dall'altra parte reazioni e alterchi e urla incomprensibili, ma che in quel momento esprimevano una realtà che si stava delineando in questa situazione: la separazione.
Come finì tra i due novelli sposi, non sappiamo. Ma sappiamo come finì tra i due testimoni/amanti degli sposi: si conobbero proprio in quell'occasione, simpatizzarono e si fecero amici, e poi amanti tra loro e, dopo un po' di tempo, convolarono a nozze, e certamente non prima di aver accertato se vi fossero in giro situazioni compromettenti. Evviva gli sposi, allora, ma soprattutto oggi!
M'ILLUMINO D'ISTINTO
C'è luce e luce…
Per questo occorre un'illuminazione che faccia distinzione tra verità e inganno, ma non voglio partir dalla solita e assodata ragione, ma dall'altra radice che non fa tanto opinione: l'istinto primordiale. Se esso ci permetta di far discernimento vediam per un momento la fragile questione. Ed è proprio questa, la sua fragilità, il punto di forza dell'istinto. Infatti la ragione non solo fa la distinzione di verità, ma appare nobilmente distinta di autorità; e se questa è da un lato certezza, diventa anche ingannevole autorevolezza. Mentre l'istinto, che per nulla si è mai distinto né in nobiltà né in verità, appare nella sua radice molto originale e profondo, dove attingere il succo e la concentrazione della verità in origine, nel suo grembo, nel seno stesso della luce: il buio totale. Da qui infatti possiamo risalire insieme con ciò che è distinto e con ciò che è d'istinto il percorso umano, per applicare di volta in volta la nostra illuminazione verso l'infinito e l'universale questione luminosa e illuminante. Il percorso dall'alto che viene dal distinto certo non ci tocca nel vivo come invece ciò che viene dal basso e d'istinto; ma mentre dall'alto dobbiamo solo cedere e aver certezza e stop, dal basso risalendo possiamo accedere e condividere il percorso, a pausa, in autogrill di piacevole ristoro spirituale, morale, umano, e tutto ciò illumina l'uomo d'istinto rendendolo luminoso e distinto.
IL QUI E L'ORA
Il qui non aveva più voglia di star lì e continuava a guardare l'ora: voleva andarsene via, ma l'ora gli rimarcava che non era ancora la sua ora: lui doveva stare nel tempo giusto, nel tempo che c'è; se fosse partito, sarebbe finito nell'era, e non era quello il suo tempo, la sua ora, la sua era. Gli spiegava che tra le ere passate nella storia, sarebbe arrivata anche la sua, per poter partire. Ma non era ancora giunta lì quell'ora, si era ancora nell'attesa; e se ora qui fosse partito da lì, sarebbe morto disperato, e l'ora ne sarebbe stata la causa e ne avrebbe avuto un grande rimpianto, oltre al senso di colpa. Qui osservò l'ora e capì dal suo sguardo la grande sua preoccupazione, e la rincuorò: per adesso si sarebbe trattenuto qui ancora per un po', almeno in quest'istante, le disse così; ma appena possibile, sarebbe partito. L'ora sospirò , mentre qui cominciò a guardarsi qua e là, in un'attesa all'inizio tranquilla, ma via via sempre più agitata. L'ora osservava con apprensione qui, vedendolo sempre più in agitazione: non c'era proprio niente da fare, prima o poi sarebbe partito. Tentò l'ultima mossa, spiegando con delicatezza e calma a qui che lui e lei erano fatti per stare insieme, sì, ma ora, adesso, non dopo che lui se ne sarebbe andato da lì. Partire da lì per qui era l'unico modo da prendere sul serio, alla lettera. Ma che qui partisse da lì avrebbe significato la morte di qui e la mortale solitudine dell'ora. Come lei avrebbe vissuto lì dall'ora in poi?...
Non sappiamo come procedette la situazione; però, oggi, sappiamo che le cose si sono sistemate alla meglio: oggi stanno insieme stabilmente, incrollabilmente, il qui e l'ora.
INTERVISTA A UN ATEO
Scusi, la posso intervistare?
Perché le interessa?
Mi hanno detto che lei si professa ateo. E' proprio così?
E' vero.
Cosa intende con questa definizione?
Che non voglio saperne né di dio, né di religione né di chiesa.
Posso sapere da dove nasce questa posizione?
Da imposizioni del mio passato e da situazioni sgradevoli subite.
Ora quindi in questo modo si sente libero?
Sì, abbastanza.
Perché abbastanza e non pienamente?
Beh, non è che riesco a realizzare tutto quello che voglio.
Perché ci sono ancora altre condizioni?
Certo, e ce ne saranno sempre.
Non ha qualche nostalgia?
Beh, di religione, no; di chiesa nemmeno; forse, un po' di dio.
In che senso?
Vorrei aver conosciuto quel dio che mi è stato nascosto finora.
Quindi lei crederebbe a questo dio...
Sì: da sempre cerco di vedere se ci sia un dio non come quello…
Quello che le hanno inculcato…?
Già.
E può anche dirci a che punto è nella sua ricerca?
Sono libero da ogni dio...e se dio c'è davvero, si farà sentire.
Beh, intanto, la domanda su di lui non la esclude.
Ho detto che sono ateo, non contrario.
E' una sincera posizione la sua, secondo me.
...Scusi, ma non doveva essere lei a fare le domande?
Beh, è che il suo modo di porsi è molto interessante e positivo…
Che vuol dire con ciò?
Che è un vero credente...che dà speranza, e perciò la ringrazio.
Grazie a lei.
Beh, allora...arrivederci...No, anzi: Addio!
INTERVISTA A UN CREDENTE
Scusi, la posso intervistare?
Certamente, se crede sia cosa buona per lei.
Credere per lei è una cosa buona?
Certamente, ma soprattutto è valida, non buona.
Perché non tanto buona ma soprattutto valida?
Perché non è cosa che fa piacere ma soprattutto da valore.
A che cosa?
A tutto, e a tutti.
Che vuol dire con questa totalità?
Che il credere riveste le cose e le persone che incontro.
E Dio come è visto in tal senso?
Il senso non è che io credo in Lui, ma è Lui che crede in me.
Quindi il credere per lei non è cosa nostra ma dono di Dio?
Sì, soprattutto sua e non basata sui nostri meriti.
Il merito di credere, dunque, non ha distinzioni?
No, tutti hanno in se stessi il dono del credere.
Tutti alla stessa stregua, quindi?
No, la differenza la facciamo nel nostro modo di accogliere.
Siamo noi allora che formiamo il peccato?
No, esiste già in nuce in noi, ma noi possiamo alimentarlo o no.
In base a questo Dio ci giudicherà?
Non ci giudicherà, ma ora, adesso ci può o no venire incontro.
Il credere cosa ci serve poi nella vita quotidiana?
E' Dio che ci serve perché credere in noi per Lui è servizio.
Come avviene nella vita questo suo servirci?
Mettendoci a disposizione il suo modo, il suo spirito per ogni cosa.
Grazie, intanto. Secondo lei, perché l'ho intervistata?
Perché dentro di sé ha già una fede interessante per sé e per me.
Con quale augurio possiamo salutarci?
Proviamo queste cose per credere.
Grazie.
Prego.
BALLIAMO IL ROCK AND ROLL
Su, lasciamoci andare, sganciamoci e scateniamoci e iniziamo a ballare, senza remore e timore, dondolandoci, rotolandoci a terra se non sappiamo come, ma non restiamo a guardare. Corpo e anima son fatti per questa musica bestiale che fa uscire dall'uomo animale il meglio di sé. E se da sé altrove andrà, qualcun altro si unirà, in una onda di umanità che pare impazzita, ma che sprizza il chiaror della vita. Il ballo è sobbalzo, traballo e iperballo, subballo ma mai un imballo che blocca in sé e per sé. Se vuoi uscire fuori di te e non impazzire, devi proprio ballare a tutto spiano, chi va piano è matto e non andrà lontano. Balla invece spiazzando dalla piazza alla circonvallazione, tra le auto l'emozione cavalcherà, e ti sentirai l'eroe del rodeo, e quasi quasi un dio. Non fermarti a respirare, potresti anche morire, vivi a ritmo del cha cha, non importa chi la sa. Questa è vera liturgia che ti abbraccia e porta via, che stiracchia le tue braccia finchè dura questa pacchia. Non guardare dove vai, tu non devi aprirti mai, basta il vortice di danza che con te e con tutti avanza, non ti lascia lì da solo, ma ti stringe nel suo gioco. Salta, pesta, slancia, piega, molla e smolla la tua mano, non cercar di andare piano, questa musica speciale porta un dono eccezionale: è saltar sopra una mina, è una tattica divina. Schiere d'angeli dal cielo chi la balla è proprio vero, vero dio e vero umano...Su, balliamo, dammi mano!
IL TESTAMENTO DEL CAPITANO
Morirò...ma 'seppellitemi poi con i miei stivali'. E fin qui ci può stare. Ma quella storia di farlo a pezzi no, proprio no. Una macellata così non è degna da menzionare nemmeno per un soldato il più violento al mondo. Lasciare un pezzo qua e là, e segno di lui per patria, mamma, per noi, per la montagna dove ha combattuto, per la morosa poi...sì, e che faccia farà quella? Questo testamento è fatto senza la testa...no, non intendevo di tagliare quella, no, non così. Intendevo che manca di senso e di tatto; ma forse in questa guerra appena passata, ogni messaggio passa e viene annientato, insieme ai nostri tanti morti, e quindi anche al testamento del sior capitano. Alla sua mamma porteremo il suo cappello, nient'altro. Alla patria lasceremo la sua baionetta in ricordo della battaglia, nient'altro. Al nostro battaglione resterà la divisa insanguinata, nient'altro. Sulla montagna lasceremo gli scarponi, li metteremo ai piedi di quella croce sulla sua vetta, nient'altro. E alla morosa?...Porteremo la piuma del suo cappello, per mostrarle l'amore di quell'uomo pesante nelle guerre ma delicato nell'amore, e come piuma il suo ricordo peserà nel suo cuore. Così faremo, e non a pezzi, come ha scritto lui...Ma, forse, a pensarci bene, i pezzi glieli abbiamo sistemati già, e proprio secondo quello che avrebbe desiderato lui con quel suo testamento.
RIMARRO' VERGINE?
Semplicità e naturalezza perdon di freschezza in questa società dove la verginità è derisa, obsoleta e trascurata, se non a volte osteggiata. Non si tratta di essere sverginati a livello sessuale, ma di far entrare il sesso in penetrazione più profonda: quella mentale, del cuore e dell'animo. Senza far nulla, facciamo di tutto, in questo caso, non solo seguendo il mondo, ma anticipandolo. Modernità del mondo è vecchiezza e muffa in confronto alla profezia che effonde la verginità. Già, ma come faccio a rimanere vergine in questa natura delle cose sempre più inquinata e inquinante? Chi ci salverà? E da che dobbiamo salvarci? Da stupratori occulti o da desiderati amanti? E amor di cose, d'animali o di persone, qual me stesso? Rimarrò vergine, se mai lo sono stato? E che stato è la verginità? Purezza, amore e sesso in combinazione, o macedonia di bello e piacere che trabocca e sempre più richiama a sé? Traversare queste domande e i relativi dubbi mi fa sentir per un certo senso un po' perverso e un po' diverso, ma mi fa tornare all'origine della mia identità. Che sia metà d'amore e metà di sesso? Accontentando la questione nell'una e nell'altra situazione? Comunque, dopo tutto questo andare, mi sono divertito a sognare un mondo più giusto, più bello, più vero, ma soprattutto più vergine di me.
CAPUT DE FINE
L'attenzione cade sempre dove il dente duole, e non si tratta più allora di sentire il dolore, ma di vederlo, seguirlo fin là dove lui ti indica la porta per uscire da quella situazione sgradevole. Allora, proprio perché siamo deboli, ci affidiamo a questa guida, anche se non sappiamo dove andremo, dove ci porterà, dove andremo a finire. Ma tra il continuare a vivere così e il finire non si sa dove, adesso scegliamo il finire, già proprio quello che odiavamo dall'inizio e che da sempre cercavamo di evitare, sperando di non finire mai lì. Ma adesso che siamo in viaggio verso il nulla, ecco che per paradosso cresce la speranza, mentre prima, sempre per assurdo, le nostre certezze vacillavano. C'è sempre un controsenso in ogni senso della nostra vita, è che finchè la vita non è messa alla prova, non proviamo nient'altro che il nostro senso, che si rivela essere solo in parte strada, proprio come ogni senso unico: ce n'è anche un altro. Senso inverso, che spesso è sostituito e dà origine al doppio senso, e al senso interno, al non senso, e così via. Ecco perché diciamo che tutte le strade conducono a Roma, anche se non è vero, ma ci basta l'illusione per darcene la speranza. Già, l'attenzione, come dicevamo all'inizio, cade sempre là dove c'è dolore e fragilità.
PROVERBIO IN EMORRAGIA
Chi cerca trova, ma
chi trova smetterà di cercare?
La ricerca sfama o inghiotte solo?
Solo cercando troverai qualcosa,
ma quel qualcosa a cosa serve non sai.
Se sai di sapere è inutile cercare,
se sai di non sapere non sai come cercare.
Cerca e cerca, tutto sempre a cerchio
nulla cambia, nulla succederà oltre ciò,
è come il cane che si morde la sua coda.
Ma cosa succede nella città a chi interessa,
se non ha chi ha gli interessi per sé su di essa?
E lui sì che ti cerca, ti scova e ti trova e non smetterà.
E' vero per lui che cercando trova, e continuerà,
in forma assillante, in modo raggiante, in forma esaltante.
Chi ti cerca, ti trova sempre; ma se tu cerchi lui, mai lo troverai.
Nella vita di questo mondo, tutto a cerchio va sempre in tondo,
puoi girare e rigirare il tuo mappamondo, ma andrai sempre a fondo
non è pessimismo, è cercar fuori di esso chi può aver successo,
e quello sei tu.
Chi si cerca, si trova.
APEROL MENTALE
Di per sé non c'è nulla che invada la mente senza che ci sia un incidente. Ogni ingresso mentale prende forma, ma appena esce e riesce a uscir nel mondo, appena fuori, ecco che si deforma e prende tutto un altro aspetto. Per cui diciamo che non intendevamo questo o quello, e gli altri interpretano male quello che noi pensavamo in bene, o prendiamo tutti quanti lucciole per lanterne. Il mondo è fatto così, e la mente non lo vuole così. Così è se vi pare non pare più a nessuno così, per cui nel grande marasma appare all'orizzonte solo la formula magica dell'apriti sesamo, che applicato a noi vorrebbe dire: apriti cielo! Non basta più il nostro cielo a raccogliere in sé tutte le nostre fandonie, deve aprirsi a un'altra dimensione, ad una extraterrestrità dove tutti ci sconosciamo come alieni universali della stessa banda. Come ragionare, a questo punto, per evitare queste situazioni spiacevoli e disdegnose? Non abbiamo la soluzione certa; ma se ci sediamo insieme, un giorno qualunque, e ci beviamo sopra uno spritz o un succo di frutta, forse cominciamo a dubitare che il punto di forza dei nostri ragionamenti, proprio quella nostra mente, possa sedersi con noi in quel momento.
DA GRANDE FARO' IL BOSS
Ora sono ancora piccolo, sì. Mi tocca sottostare ed essere un tuttofare. Ma ancora qualche anno, e poi, sì, anch'io farò il boss. Non mi va di dover sempre obbedire e mai comandare. Chi credete che sia? Il figlio della serva? Eh, no! Bisogna imparare a vivere, oggi, e non lasciarsi calpestare. Voglio avere un comando, una squadra a mio servizio, nel gioco, negli affari, nel potere, nel godere. Vedo tutto attorno a me che procede in avanti, e io non voglio restare indietro, essere scartato e disprezzato, perché sono più piccolo di loro. Aspettate ancora un poco, e vedrete che vi farò pagare tutto quello che avete fatto pagare a me, anzi ci metterò anche gli interessi. Intanto mi tocca star qui a imparare cose che non potrò mai sopportare: la storia delle ingiustizie, delle prevaricazioni, delle cose che non si possono mai sistemare, delle crisi continue in tutti i settori: meno soldi, meno valori, meno onori! Ma quando farò io il boss, farò giustizia e sistemerò tutto, per quanto mi riguarda. E sono certo che darò aiuto, lavoro e sistemazione a tutti quelli che adesso vanno in giro disperati e oppressi! Farò il boss della giustizia, farò lo sceriffo senza stella. Senza, sì, perché se dovessi seguire le regole, mai diventerò boss, resterò il solito pirla. Ma le cose cambieranno; intanto, mi tocca svolgere il compito ingrato della maestra: "Cosa significa per te essere un cittadino...Ragazzi, vi raccomando, scrivete questo tema con il cuore, prima che col pensiero!".
TUTTI NEL CIRCO
Un giorno gli animali del circo presero una grande decisione: fare una rivoluzione. Non si trattava di andare contro qualcuno o sfasciar qualcosa, ma mettere al contrario ciò che finora era stato al contrario: avrebbero messo gli uomini al posto loro. Sì, proprio i loro addomesticatori, sarebbero stati addomesticati. Così, iniziò il leone: fece imparare al suo domatore ad accumular la forza, a calcolar il balzo, a muoversi a comando, a superare il fuoco attraverso il cerchio, a superare l'esitazione e la paura, a non temer l'incitazione, ma a favorirla per migliorare. Poi, l'elefante: insegnò al suo domatore a equilibrarsi col peso su uno spazio limitato, a muovere a danza leggera ciò che sembrava essere pesante, a esibir la grazia invece della disgrazia, a non aver fretta nel muoversi, a controllar le mosse con più effetto d'arte che di abitudine. Poi, fu la volta dei serpenti: insegnarono al loro incantatore a non incantarsi invano, a contemplare meglio la scena, a non metter veleno, ma solo portar timore in sé per aver rispetto altrui, a saper svincolare nelle giuste occasioni, a seguir meglio la sinfonia con la quale muoversi in sintonia, a star nascosti fin quando non si è chiamati, a non uscire allo scoperto se non con prudenza. Le scimmie addomesticarono insegnando a non scimmiottare, a non muoversi a ufo e senza meta, a non agitarsi e non farsi dispetti inutili, a saper condividere, a muoversi meno per sé e più in squadra, in tattica d'insieme. E così via, tutti quanti gli animali del circo, insegnarono all'animale uomo, addomesticandolo, ad essere un po' più capace di vivere nel circo della vita.
L'INVESTI(GA)TORE
Un incidente non più grave di tanto, ma a lui interessava ora sapere cosa esattamente era successo; e così, da investitore, cominciò a diventare investigatore. Cercando qua e là prove e testimoni, riuscì a trovare una pista a cui lavorare; e approfondendo sempre più la cosa, vide che la situazione non era così gravosa, anzi, richiedeva passione, merito e intelligenza, anche di più: arguzia e intuizione. Che non mancavano affatto all'investitore investigatore. Giunse al punto in cui ricostruendo il tutto si ritrovò a suo favore tutta la situazione, sia dal punto di vista economico che giuridico, evitando ogni penale. Rafforzato da questo esito, provò a spingere un po' oltre, per portare a sé più risultati possibili, facendo anche figurare la vittima del suo incidente come un distratto e un perdente. Ma non aveva calcolato la sua vittima avvocato, per di più in quel settore riguardante la questione. Qualche volta la giustizia si avval della malizia per giocare con astuzia e schiarire un po' le cose. E così purificato il suo atto è condannato. E così da investitore diventando investigatore, ora deve in retromarcia buttar via la mela marcia: la sua vittima investita la giustizia fa invertita, ora lui da investigante fa figura di un furfante. L'avvocato che lo accusa mezzi termini non usa, e così gli fa pagare tutto quanto il malaffare.
TEMPO CHE FA IL MATTO
Ogni cosa a suo tempo, non è poi tanto vera, se questa sera il tempo ne sta combinando di tutti i colori: piove con il sole, sembra venire il brutto temporale ma poi se ne va questa situazione, una grandine improvvisa fa scappar tutta le gente e per niente: torna il sole a capolino e asciuga tutto nel giardino. Un tempo che fa il matto, come a uscir di scatto dalla prigione dove era recluso da ore e ore. Ma quel che è peggio è la pazzia che contagia anche la via: scappa via qua e là la gente, sotto l'albero oscillante, il pericolo imminente dice tutto e poi fa niente. Dalla finestra torna ai fornelli chi si sente preso un po' per i fondelli; in una tale situazione ci vuole un the a consolazione. Or riguardo alla finestra: ecco il matto che fa festa, non è il tempo è il suo gemello, uomo matto è proprio quello! Al cantar qua e là si mena, con la bici e mai non frena. Proiettato più non vede e finisce nella siepe, mentre un tuono gli suggella che è finito giù da sella. Impazzito è questo tempo a tracollo su un cavallo sembra proprio un po' sembrare ma c'è sempre da ammirare questa matta situazione che continua in gestazione, senza niente partorire, solo aria e starnutire. Non si sa ora più che fare, fare il matto certamente non è solo della gente, forse il tempo un poco a specchio ce lo dice in un pastrocchio!
DI COSA E' FATTO L'UNIVERSO
Qual è la materia primordiale e la più importante in assoluto che accomuna tutte le realtà del nostro universo? Ce lo siamo chiesti, e abbiamo ottenuto la risposta. Ecco in che modo e che cos'è. Il nostro universo è fatto dell'elemento "W". Non è visibile ad occhio nudo, e nemmeno attraverso particolari strumenti tipo microscopi, in quanto è e non è una particella fisica, molecolare. Non è neppure un atomo, che sarebbe in qualche modo verificabile. E' una specie di via di mezzo tra una immagine reale e una infinita astratta, racchiusa in questo elemento chiamato appunto "W". Come si è arrivati alla sua percezione? Già nella domanda c'è parte della risposta: attraverso la percezione. Ma certo - diciamolo subito - questa è solo la prima intuizione, che verrà avvalorata e confermata in seguito. Come? Partendo da una realtà (fisica o spirituale) l'intuizione fa emergere da essa l'energia della vita che vi è celata, e accostando alla stessa intuizione la conferma concreta che è il soggetto che si trova nella situazione. Ogni soggetto che intuisce una realtà ne può far uscire l'elemento "W" che facendo da tramite fra soggetto e realtà manifesta l'universo in quella situazione. In parole povere, si fa uscire allo scoperto ciò che non è scoperto, ma solo coperto dalla realtà. Ogni realtà ha in sé l'elemento universale "W"; se lo fai emergere con la tua intuizione, fai partorire - per così dire - in quella situazione la coscienza universale. L'universo è già tutto presente in nuce e in gestazione; occorre aiutarlo a venire alla luce coscientemente.
ALLA (RI)CARICA!
Anche se subito si può pensare a un grido di guerra, quella del caricare è un'azione che fa parte di ogni settore della nostra vita. Andare quindi non solo alla carica contro il nemico, ma anche aver carica giusta per creare amicizia o incontrare ben un già amico. Ma anche personalmente, quando diciamo a noi stessi che dobbiamo deciderci, darci una mossa, non è come dire a noi stessi: su, alla carica, diamoci un po' di energia, ricarichiamoci, non lasciamo esaurire la nostra energia vitale? Ricaricarsi è tonificarsi, purificarsi, andare a prendere la giusta carica, e non una scarica che ci mandi in tilt. Infine, anche il settore religione non fa eccezione: andare alla carica verso qualche santo, verso quel dio che alla richiesta nostra fatta con la nostra energia deve ricaricarci; oppure glielo chiediamo con l'energia totale, a pieno carico: quella che in altre parole è la concentrazione, che se spinta al massimo fa più male che bene alla religione. Fanatismo e settarismo ne sono le conseguenze. E qui allora torniamo al primo significato: quello dell'attacco dei soldati blu contro gli indiani. "Alla carica!...". Sta di fatto che nella vita quotidiana questa è l'unica interpretazione della quale siamo coscienti, e che in concreto non ci toccherà mai; mentre le altre interpretazioni, quelle delle quali siamo incoscienti ancora, ci fanno agire alla carica di noi stessi, degli altri e del mondo intero, pensando di ottenere vittoria, ma ne veniamo spesso sfiancati, abbattuti, sconfitti e annientati.
IL SOMARO
La vita del somaro è soprattutto amaro, non c'è di che. Ve lo dice uno che se ne intende, che del somaro ha fatto la storia, studiando poco e l'essenziale, portando come soma soltanto altri somari, e per di più per gioco e non per guadagno. Oltre a perder tempo, soldi ed esperienza il mio esser somaro mi permetteva di avere il tempo per godermi l'ozio. Già, un grande fardello, se vogliamo, ma altrimenti una goduria estrema per un somaro come me. Ogni tanto un carico prezioso, ma sempre per altri, e mai per me. Ogni tanto amici e gente contenta, spesso da portare, ma sempre anche da lasciar andare. Solitudine del somaro è gioia e dolore per lui. Per me, altrettanto. Ma è proprio questa la soma vera e propria del somaro: la sua identità. Che poi per compassione o per condivisione lo si ponga a un livello più alto, in una fiaba o in poesia, non cambia molto. Somari si nasce, non si diventa. E paradossalmente, sempre per dare un alone di dignità anche al somaro, ecco che è stato forgiato anche il detto contrario. Ma si sappia bene, gente, che chi somaro è, e dice di non essere nato così, non si ricorda che dall'eternità lo è e sempre lo sarà, anche se da nobile cavallo si vestirà. Non si può cambiare d'identità, ma solo falsificarne la carta. Senza contare che, credendo nella reincarnazione, se ora sono un somaro, chissà mai quale inferiore entità incarnavo prima!
IL CERINO E LA CANDELA
Un cerino e una candela stavano tra loro a discutere all'ombra dell'ultimo sole del giorno. La questione era questa: perché il cerino doveva accendere la candela e poi morire quasi subito, mentre la candela una volta accesa avrebbe vissuto molto più a lungo? Da parte sua la candela cercava in tutti i modi di convincere il cerino a esaudire il suo desiderio: "Sei fatto per questo tu, io no!" e anche: "Una volta accesa, per molto tempo ti ricorderò con gratitudine!". Ma il cerino della gratitudine della candela non sapeva cosa farsene. Si era anche irritato alla richiesta di lei, adducendo il tradimento parentale - parenti serpenti citando il detto - perché fiamma del cerino e luce della candela avevan del sangue in comune. Intanto calò la notte, e entrambi cercarono con fatica di prender sonno sotto quell'albero che avevano condiviso come riparo lungo il giorno. La mattina seguente la discussione si riaccese, ma ognuno affermando con tenacia la propria posizione. Ore e ore, finchè verso mezzogiorno il sole fece penetrare i suoi raggi folgoranti di luce e di calore sul cerino e sulla candela. Ma mentre il cerino rimase intatto, la candela si sentì liquefare pian piano, perdere le forze, sciogliere la vita, riducendosi sempre più a massa informe, e morì così. Il cerino, osservandola con una certa commiserazione, sentendo ormai risolta la cruciale questione, si mise disteso a rilassarsi incautamente sotto quel sole raggiante, che con il suo potente calore accese il cerino, che finì per rotolare disperato e urlante di dolore tra la cera liquefatta, che lo assimilò al suo destino. Si ricongiunse così anche quella parentela di sangue che era stata oggetto di lite nella vita e che ora segnava oltre la morte la pace eterna.
NON AVER FRETTA
Non aver fretta nella vita, la vita va già di fretta: dalle una calmata!
Dicono che la fretta è cattiva consigliera. Direi piuttosto che è furba, perché con l'illusione di far tutto e subito ti fa veder solo te stesso, il tuo consiglio, e più nessuno, nemmeno lei, che nascosta dietro di te che ti agiti, se la ride perché ti ha ingannato. La fretta non è altro che la cugina dell'egoismo, anche se alla lontana. Infatti, piano piano (anche se lei è la fretta) lei fa le cose bene, e mostra a te di fare le altre cose in fretta, altrimenti tu perderai l'occasione per te. Ti fa mettere illusoriamente in autodifesa il tuo io, che parte in fretta a fare le cose per sé e contro tutti, isolandosi, finendo dentro di sé. Insomma, un perfetto tranello mascherato, fatto con malizia e senza alcuna fretta dalla fretta, che solo a te si manifesta così. Occorre smascherarla. Come? Basti passare dall'illusione di fare in fretta alla coscienza di essere in fretta: ecco, allora uno si accorge e dice a sé: ma perché sto facendo le cose così? Le potrei rovinare, e così anche me stesso e gli altri. Solo allora potrò regolarmi in tutto con questa bussola: più in fretta di così, si muore, meno in fretta di così, si vive.
HO IN SERBO
Ho in serbo tante cose per me e per te, ma subito non mi esprimerò, in quanto ancora non so distinguere quelle da tenere per me e quali da offrire a te. La mia buona intenzione richiede attenzione, abbi pazienza. Intendo conservare intanto al meglio queste cose, ma ho anche paura che cresca la muffa o che passino oltre il tempo presente e non servano più. Pazienza e urgenza mi sveglian coscienza ma quella mi dice ancor di tacere. Rimango in attesa e mi metto in riserva, in serbo me stesso ancora io ho. Vorrei far uscire da me ora il meglio ma poi se rovino chissà che sarà. Rispondo a me stesso che non è ora, va meglio di allora ma non siamo già. Intanto ora ammetto che cresce di getto la forza e la voglia di dir tutto a te. Rispondo a me stesso di quel che decido, se non per inciso, perché siamo in tre. Non sono sol io, ci sei anche tu, e poi tra di noi questa servitù: è quel che doveva servire a me per mostrare a te, ma che devo servire e serbare ancora così. E così, tu non puoi ancora avere da me quel piacere che voglio per te. Ho in serbo qualcosa che ormai più non serve perché, servendo, al comando s'è fatta per noi.
Serbar nella vita e non mai osare farà comandare tutt'altro che te.
Serbar nella vita e non mai osare farà comandare tutt'altro che te.
CANTICO PEL CREATORE
Laudate siate, o tutte le Creature,
perché voi lodate nostro Signore!
Laudato sii, fratello Sole,
perché ci illumini il volto del Creatore.
Laudate siate, Luna e sorelle Stelle,
perché stillate nelle nostre notti la sua carezza.
Laudato sii, o fratello Vento,
perché ci fai sentire che c'è Qualcuno nell'aria.
Laudata sii, sorella Acqua,
perché ci dai la purezza e la freschezza di Lui.
Laudato sii, fratello Fuoco,
perché ci mostri come Lui accende l'Amore.
Laudata sii, Madre Terra,
perché ci mostri Lui Padre vicino, quaggiù.
Beati quelli che attraverso voi
sanno ricevere in dono da Lui.
Beati quelli che insieme con voi
gioiscono e soffrono il destino con Lui.
Laudata sii, o nostra sorella Morte,
insegni che Lui muore ogni giorno con noi.
Beati quelli in sintonia con voi,
allora Lui sarà in sintonia con noi.
Laudate et rispettate tutte le Creature,
che ci fan vivere del nostro Creatore.
RITRATTO DI UN SANTO
Non è che sia cosa buona e giusta l'essere finito immobile in un quintale di gesso; e anche se è bella la scultura, non può la santità essere reclusa dentro quattro mura. Sarà anche bello stare sotto il capitello, ma dopo anni e anni, tra ragnatele e muffe, come può un santo non arrivare a dire: uffa! Chissà quale avventura, chissà che vita dura, tra sfide e ardite mosse, tra profezie e percosse, osanna e irritazioni, eretici e questioni, preghiere e umiliazioni, rinunce e ovazioni, deserti e patimenti, e poco pane ai denti, col cibo della fede poi far testimonianza, più fede che creanza, per forza la credenza, le folle a me attirate, e a Dio le ho rimandate; e tutto in movimento, veloce più del vento; attento anche al rosario, ma specie missionario; miracoli giù a iosa, ad augurar la sposa, ad affidar marito, a chi si vuol guarito, al ricco e al perdente, al povero e al presidente; e tutti a far la fila, in procession colonna, e qui dalla colonna mai più mi sposteran. Ahi, che santità perduta! Non sono io quello di qui, non posso essere costì, non mi rispecchio in questo sguardo, io con gli occhi invece ardo; non c'è riscontro in questa mole, io son leggero del Signore; non mi rivedo in questo stile, mi sembra proprio d'esser vile; non sono ad agio in chi si accosta, mi sembra sempre lo faccia apposta; preferirei cadere giù e non far niente ora di più. Cadere a pezzi in questo tempio, esser raccolto da questo scempio; tornare a vivere laggiù nel mondo, per fare il santo fin nel profondo, essere accolto in umanità, questa è la vera santità.
MUCCA IN ALPEGGIO
Volevo mandarvi da qui una cartolina, ma forse è meglio spedire a mente quello che vuole essere un richiamo alla serenità. Certo nella stalla questo non è possibile, tra essere ingabbiati e ed essere munti a ore stabilite, senza alcuna libertà e nessun passeggio, come non richiamare voi a questo alpeggio, anche solo idealmente? Certo, ora io qui ci sto in carne e ossa; sì, proprio quelle che un dì in modo struggente e cruciale dovrò lasciare al mondo del prodotto da cibare, ma intanto mi sto godendo appieno questo spazio e questo tempo, miracolo di vita che tutti hanno ma che non sempre sappiamo gustare appieno, al massimo, all'ottimo. Io, qui, ora, posso dire di sì: sono pienamente appagata, in questo raggio di vita breve. Con un fiore in bocca, mi godo la mia postruminazio, mi metto in digestione delle cose che ho gustato, di quello che vedo, del profumo dei fiori, del suono dolce degli usignoli, della carezza del vento, del panorama di questi monti di miriadi di verdi prati e boschi...e guardo, lassù, a quella vetta: c'è anche un ciuffo di neve, come a richiamarmi la frescura e l'ombra alla quale mi posso andare sotto l'albero a riposare. Che voglio in più da questa vita? Un prolungamento del tempo, un allargamento dello spazio? No, ho già tutto in questa briciola di alpeggio; e se so che andrà poi sempre peggio fino alla fine, il mio fine l'ho raggiunto e contemplato, e nella natura mia e attorno a me ho vissuto e ammirato. Potrò specchiarmi ogni volta in questo specchio dell'alpeggio con la mia mente, finchè la vita sarà condotta sempre più verso il mio niente. So che il mio destino è il macello, ma intanto godo e ringrazio di questo alpeggio così bello!
TURIBOLI ARCANI
In tante liturgie dell'umanità appare uno strumento misterico e pure olistico, che colpisce sempre con meraviglia l'occhio umano, che perdendosi nell'alone del mistero creato dall'incenso e dall'atmosfera indefinibile, apre le orecchie della mente e la bocca del cuore, mentre l'anima si concede al profumo soave e si lascia dondolare, quasi cullare, ad altalena, proprio come fa il movimento del turibolo. Un arcano aggeggio, ma anche uno strumento moderno, che batte in volata ogni forma di psicologia e di terapia psichica, ogni integratore fisico e mentale. Forse ci affascina, questo andar avanti e indietro ondulatorio, perché rispecchia il nostro essere gioiosi bimbi, in fondo in fondo; o forse perché ci richiama le onde del mare, al quale amiamo accostarci con misterioso tremore e con tanto amore. Ma c'è anche il fatto che quel segno liturgico ci richiama il passato, l'esperienza, ci rinsalda e ci rincuora con essa. Per cui ci sentiamo in quel momento di essere anche noi turiboli arcani, anche se nella vita poi finiamo sempre e solo cani tribulanti che si agitano avanti e indietro, che invece di incenso fanno tanto fumo e niente arrosto, che alternano liturgie alle liti e cagnarre e bagarre. Forse perché nei nostri turiboli non mettiamo mai la prima cosa, l'essenziale: il fuoco dell'amore.
BISABESI
Un pizzico di dolcezza e un grammo di allegrezza, un po' di spensieratezza e accarezzar la brezza: questi sono i bisabesi. Colorati, ricercati, sorprendenti, basta qualche monetina e tu fai una merendina. Soddisfar la voglia con poco è insegnamento sommo, che già l'oriente aveva colto come mentalità di fondo. Togli da te quello che è grande e immenso, vai al fondo della tua vita e raccogli le piccole cose che ti rendono grande, se le gusti alla moda dei bisabesi. Farsi bambini, poi, non è solo un gioco, ma una tattica vincente di filosofie e di religioni che non sono mai passate dalla storia, ma hanno sempre trapassato tutte le altre storie. Bisabesi è quasi una parola magica, prima ancora che un piccolo sfizio; è un po' come dire: apriti, sesamo! E tutto ti appare davanti. Bisabesi è come un mazzo di chiavi che ti permette, quando manca la magia, di accedere a tutte le porte della vita, anche le più impensate da poter aprire. Con i bisabesi varchi anzitutto la porta di te, perché ti addolcisci; e poi, quella dell'altro con il quale condividi la tua dolcezza. Dolce è la sera, con i bisabesi, ma soprattutto è vera, quando li hai presi.
REVERSIBILITA' ESTETICA
Dentro ognuno di noi, nel profondo del nostro cuore, giace una istintiva capacità di autodifesa, che ci permette di smuovere la mente e la volontà per farci sempre apparire - almeno esteticamente - belli, buoni e affidabili. E' un po' come la legge del camaleonte, che muta a seconda del pericolo la propria pelle, ma mai e poi mai la propria indole. Così per noi umani. A seconda dell'interesse pro o al disinteresse contro ci schieriamo a bandiera del vincente, e sempre allegramente, senza alcun rimpianto o nostalgia del passato e dell'esperienza fatta. Ciò che è stato, è stato, diremmo; e questo vale anche nei confronti dell'impegno sociale e politico: lasciamo allo stato quel che è dello stato: date a Cesare quel che è di Cesare, cioè gli affari suoi, che i miei son quei di Dio. Questa mutazione camaleontica che facciamo allegramente però non ci soddisfa fino in fondo; sentiamo che abbiamo bisogno di un supporto in più per giustificarlo. E allora, eccola qua la religione, usata a nostra immagine e somiglianza; ecco il volontariato, in ogni settore, partito con le buone intenzioni, ma poi diventato il nostro partito, il mio, a scapito e esclusione di chi non condivide con me l'amor per il prossimo; eccoci anche alle battaglie sociali, che schierano masse informi e spesso deformi e deformanti il reale: tutti alla ricerca dell'estetica apparente, che però del bello ha poco, anzi proprio niente.
FILOSOFANDO
Fomentare l'indicibile viene espresso in modo debole, se il pensiero va per l'aia la gallina è sempre gaia, son profonde queste fosse e le gote sono rosse. Addossarci un fato ardito certo è detto il benvenuto, ma poi come van le cose sono spine non sol rose. Dalla stalla esce il bue e non vuole dirne due, vuole mettere a progetto ciò che ha fatto ed è in effetto. Ma in difetto ha calcolato ciò che ha preso e ciò che ha dato, se risulta conveniente fare credere alla gente che alla stalla già si balla con la musica che scialla. Vuole mettersi a sedere pure il can domenicano, di domenica si pensa, d'abbaiar neppure l'ombra, sotto il sole sbarazzino se lo faccio son cretino. E la gatta tra i travetti si rimangia i suoi nervetti, topolini non son più cibo da mandare giù. La cascina ti avvicina e ti fa goder del bello, fai fatica con mastello ma c'è sempre un menestrello che si mette a canticchiar pur di non filosofar. Ma la via della questione mette tutti in discussione, cani e gatti e gallinelle, oche e stridule pulzelle, omaccioni strapesanti, benpensanti tutti quanti. Con la tua filosofia fila via per quella via, trova subito un bel posto se non vuoi finir d'arrosto sulla brace fumigante il pericolo è costante. Debolezza è già certezza nella lieta fattoria, e non c'è filosofia che imbracciando tutti quanti non si usano mai guanti, ogni cosa è sviscerata e anche viene divorata, ma col cibo quella gente non si sente mai perdente, tutti sanno in fattoria che cos'è filosofia.
STORIE PARALLELE E INTERSECANTI
In un ameno paesino viveva un anziano saggio, una specie di mago
Avere un'automobile di grido oggidì è come gridare al mondo l'ego
al quale rivolgersi nei momenti più cruciali della vita del villaggio,
e quindi come resistere - pensava John - a così grande tentazione?
una persona che tutti stimavano da sempre e al quale dare fiducia,
Adesso poi che aveva conseguito la laurea in Medicina Generale,
e che da parte sua mai aveva trascurato e sempre risolto i problemi
come non soddisfare questo suo desiderio che l'avrebbe aiutato ad
non soltanto corporali, ma anche quelli psichici e pure spirituali che
essere sempre più in vista, stimato e rinomato, appagato e pagato?
gli venivamo presentati ogni giorno. Un grande dono per il paesino.
Così, si mise alla ricerca dell'ambulatorio dove iniziare a esercitare.
Ma il tempo passava, e il saggio curatore invecchiava sempre più.
Aveva avuto il sentore di un villaggio disperso e lontano sul mare,
Così, incaricò i paesani di spargere la voce per trovare un sostituto.
e gli era piaciuta subito l'idea, anche perché già sognava la spiaggia
Ma dopo qualche tempo l'anziano, con grande dolore di tutti, morì.
da tempo e si immaginava già sotto l'ombrellone. Andò al villaggio.
Ora però quel villaggio doveva mettersi a cercare un altro guaritore.
Arrivò col suo macchinone e lasciò tutti a bocca aperta: "Uauh…!
Il vociare dei ragazzi un giorno fece sobbalzare tutto quel villaggio:
E' lui, il nuovo dottore? Che cos'è quella cosa sulla quale viaggia?
E' arrivato il nuovo dottore e ora prende servizio proprio qui da noi!
Fecero una grande festa per accoglierlo e lo portarono in trionfo…
Fecero una grande festa, iniziò il suo compito...E passarono gli anni
Ma dopo quel trionfo ci fu anche il suo tonfo. E saprete il perché…
Macchinone, spiaggia e ombrellone, e non faceva certo il guaritore.
Preferiva vivere la sue passioni… E nient'altro lui aveva nel cuore!
Rimpiangeva ora il saggio ogni vile del villaggio: quello com'era!...
una persona che tutti stimavano da sempre e al quale dare fiducia,
Adesso poi che aveva conseguito la laurea in Medicina Generale,
e che da parte sua mai aveva trascurato e sempre risolto i problemi
come non soddisfare questo suo desiderio che l'avrebbe aiutato ad
non soltanto corporali, ma anche quelli psichici e pure spirituali che
essere sempre più in vista, stimato e rinomato, appagato e pagato?
gli venivamo presentati ogni giorno. Un grande dono per il paesino.
Così, si mise alla ricerca dell'ambulatorio dove iniziare a esercitare.
Ma il tempo passava, e il saggio curatore invecchiava sempre più.
Aveva avuto il sentore di un villaggio disperso e lontano sul mare,
Così, incaricò i paesani di spargere la voce per trovare un sostituto.
e gli era piaciuta subito l'idea, anche perché già sognava la spiaggia
Ma dopo qualche tempo l'anziano, con grande dolore di tutti, morì.
da tempo e si immaginava già sotto l'ombrellone. Andò al villaggio.
Ora però quel villaggio doveva mettersi a cercare un altro guaritore.
Arrivò col suo macchinone e lasciò tutti a bocca aperta: "Uauh…!
Il vociare dei ragazzi un giorno fece sobbalzare tutto quel villaggio:
E' lui, il nuovo dottore? Che cos'è quella cosa sulla quale viaggia?
E' arrivato il nuovo dottore e ora prende servizio proprio qui da noi!
Fecero una grande festa per accoglierlo e lo portarono in trionfo…
Fecero una grande festa, iniziò il suo compito...E passarono gli anni
Ma dopo quel trionfo ci fu anche il suo tonfo. E saprete il perché…
Macchinone, spiaggia e ombrellone, e non faceva certo il guaritore.
Preferiva vivere la sue passioni… E nient'altro lui aveva nel cuore!
Rimpiangeva ora il saggio ogni vile del villaggio: quello com'era!...
La chimera macchinosa ingannato aveva a iosa donne uomini e bambini; senza il saggio del villaggio è arrivato quel miraggio ammirando rose e fiori si può essere signori, ma se non c'è d'amore un raggio non vi cura chi è di passaggio.
DOLMEN
Un giorno ha visto accanto alla strada un grosso macigno, e il fatto di essere a piedi me lo ha fatto considerare con attenzione più del dovuto. Mi sono avvicinato e l'ho esaminato, anzi gli ho parlato, come fosse una pietra sacra, proprio come quella degli uomini preistorici. Gli ho chiesto: ma tu emani energia o sei senz'anima, senza vita, proprio come ora ti vedo? Il tuo essere così solido è dovuto solo alla tua conformazione o anche a una formazione, al fatto che sei levigato dall'acqua della pioggia, dal vento che ti sfiora e ti accarezza e dal sole che ti abbronza e ti fa assumere quel rivestimento da pelle umana? E che senso ha il tuo esistere, se non hai vita in te e non servi a nulla, se non a stare al lato di questa strada, e prima forse nascosto dalla foresta? Fammi sentire che hai presenza o se c'è solo assenza in te, fammi scoprire il sacro di te per il quale tanti popoli ti hanno considerato più di un semplice masso. Pietra sacra, pietra di ostacolo, di inciampo, pietra da essere lavorata o scolpita ad arte, che sei? Magari - se ti consideravano sacra - incarnavi qualche spirito forte, e forse ancora potresti richiamare qualche anima in te o uno spirito, più o meno buono. Forse sei stato considerato potente per il tuo rotolare dal monte, prezioso per il tuo essere scolpito, grande per la tua stabilità e il tuo essere posto a difesa o ad offesa per l'umanità, o per essere la base dei suoi sacrifici immolati... Sorrido. Che discorso ti ho fatto...ora ti lascio. Però, a pensarci bene, certo un'energia la devi avere per forza: guarda quante cose hai suscitato in me!
USO IL COMPUTER
Uso il computer non so se è un abuso in quello che faccio se poi mi interfaccio mi scappa la chiocciola essì che era lenta adesso mi entra in un altro settor a me sconosciuto non so se ho dovuto per forza cliccar che poi questi tasti fai presto a sbagliare ti fanno abbagliare in quel che non c'è cioè un'illusione che vien procacciata figura sbagliata figura che fai se entro nel sito rimango invischiato nel gioco creato apposta per me mi sembra in inganno ma provo piacere si sa che oggi rischio qualcosa di grosso si sa che non posso ma invio con un sì che accetta il privato era già programmato che fosse così non cerco più niente ormai son perdente son schiavo di te computer da mio ti sei fatto il mio dio un idolo strano ma a portata di mano un comodo ausilio che hai per appiglio quand'anche nessuno postava con te e stavi seduto col tempo che passa il gioco che impazza ti tiene per sé ti sembra azzeccato ti senti appagato ma chi vincerà ancor non lo sai ti ha fatto credenza che se non stai senza innalzato sarai e fuori dai guai ma appena ti accorgi che a te lui non mira ma ad altri interessi che sono stati messi da chi più di te è da molto che c'è ti senti ingaggiato per far del progresso la mole che adesso verrà su di te spiazzato e annebbiato da questa astinenza di lui fare senza ormai più non puoi ma se vuoi tornare al computer migliore risparmia le ore e pensa più a te ricorda sei fatto anche per questo ma se è molesto ora lascialo lì riprendi la via dell'incontro più vero che il tasto più nero qui mai ti darà riportati fuori da questo contesto ma adesso fai presto non perderti qua l'aspetto virtuale ormai ti fa male ritorna al reale a quello che c'è dal tasto ritasta il tatto perduto che ormai sconosciuto a te stesso ti fa connetti gli affetti e lascia gli effetti complessi e artefatti son cose da matti che oscuran la mente di ciò che vincente per sempre sarà: la tua libertà.
ATTENDO
Attendo che arrivi qualcosa o qualcuno per me; attendo il tempo opportuno e l'occasione per me. Ma intanto, cosa c'è in quell'attesa di me se non il mio non attendere? Infatti, una vera attesa suppone tensione, attenzione e proiezione in avanti, non certo un'infermità che fa giacere l'attesa in una situazione ormai stesa. L'attesa potrebbe anche suscitare contesa, contrasto e reazione, sì, ma sempre calibrate e misurate con il controllo dell'attesa. Attendere poi non è pretendere come giusto per me, perché ogni attesa può portarmi anche qualcosa di ingiusto per me, ma da accogliere in quanto superiore a me e parte dell'assoluto che la vita stessa, della quale io non sono padrone, per cui non posso da lei pretendere proprio nulla. Quando l'attesa supera queste condizioni e non accetta più il limite, ecco che appare all'orizzonte la disfatta dell'umanità: non di quella astratta e in generale, ma la mia, quella che sto vivendo qui e ora. Questa umanità di me viene straziata e deformata a immagine delle mie pretese, del mio io, in fin dei conti, che non vuole mai attendere, ma con violenza e senza guardare in faccia a nessuno vuole solo pretendere. Allora mi chiudo nella tenda dell'attendere e mi godo il mio io, con tutte le conseguenze.
IMPRESSIONE, COMPRESSIONE, ESPRESSIONE
La branchia della psicologia ha fatto in questi tempi passi da gigante, per cui ci possiamo affidare ad essa con fiducia e avere garanzia sufficiente per migliorare il nostro tenore di vita, specie a livello morale e psichico. Poniamo attenzione ad esempio alla scoperta dell'efficacia dei tre passi da fare nel nostro atteggiamento quotidiano: impressione, compressione, espressione. Tre fasi in passaggio e in progresso nel rapporto con noi stessi, con gli altri e con il mondo. Impressione: quante volte siamo impressionati da emozioni, situazioni, avvenimenti, parole,...tutte realtà che si imprimono in noi e potrebbero condizionare la nostra vita al di là di ciò che è reale e vero. Per questo non dobbiamo fermarci alle impressioni. Compressione: dobbiamo con un po' di pazienza e di fatica operare una compressione delle nostre impressioni, passarle come sotto un rullo compressore che le riduca e le renda più assimilabili, gestibili e meno ingombranti. In questo modo il nostro bagaglio di vita è più agile e meno invadente, più facile da portare con noi. Ma questa compressione non basta, perché di fronte alle situazioni quotidiane siamo chiamati a esprimerci in vari modi: dalla compressione dobbiamo, come a fisarmonica, far uscire la nostra espressione, che, avvalorata dai due passaggi precedenti, ci garantisce il giusto valore del nostro agire e l'equilibrio sereno dei nostri rapporti, anche nei momenti più cruciali. Impressione, compressione, espressione sono la trinità psicologica per rendere migliore ogni situazione.
DOMANDE DI FONDO
Qual è la cosa più importante nella vita?
La tua domanda.
E la tua risposta?
Tu che puoi fare la domanda.
Ma all'inizio dell'universo, cosa c'era?
Una presenza.
E in che cosa consisteva secondo te?
In una essenza.
Alla fine del mondo, invece, che cosa resterà?
L'essenza, ancora.
Cos'è per te questa essenza?
L'essere di ciò che non può non essere.
Un esempio?
Io e te, qui e ora, siamo l'essenza.
E ciò che c'è oltre l'essenza cos'è allora?
Un accessorio se vissuto in positivo, se no una distrazione.
Verso dove sta andando il mondo di oggi?
Verso un naturale tramonto e poi verso una nuova alba.
A che punto siamo, se dovessimo fare una percentuale?
58%
Quindi andiamo verso un positivo?
Sì, ma attraverso sempre un negativo.
Un esempio…?
Lo sviluppo di un rullino fotografico.
Che fare per vivere in positivo oggi?
Lasciarsi sviluppare in negativo.
Qualche volta è difficile, che aiuto abbiamo in questo?
Il fotografo.
E chi è?
Dipende: qui e ora sei tu.
LA RAPPRESENTANTE DEL RE
Un giorno un Re che possedeva un regno alquanto vasto, intraprese un viaggio nel più lontano dei suoi possedimenti, per trovare qualcuno che lo potesse rappresentare anche là dove lui non riusciva ad essere presente. Mentre si stava accingendo ad entrare nel villaggio, scorse dalla sua carrozza una piccola fanciullina che là in fondo, in quel campo di girasoli, si stava divertendo a correre in su e in giu. Fece avvicinare il convoglio reale, poi scese e chiamò la fanciulla: "Ehi, piccola...sì, tu...come ti chiami?". Quella si bloccò stupita, e flebilmente pronunciò il suo nome. "Vieni, qua, piccola. Lo sai chi sono?". La fanciulla scosse il capo. "Io sono il tuo Re, vengo da lontano per cercare chi mi possa qui rappresentare, cerco una persona di fiducia sulla quale contare: tu mi vorresti aiutare?". Istintivamente fiduciosa la bimba annuì. "Bene - continuò il Re - allora scelgo proprio te per questo compito. Sarai la mia rappresentante, e attraverso i miei mandanti mi riferirai quanto io ti chiederò. Ti farò chiamare con un nome con il quale nessuno sospetterà di questa regalità: Ciccietta. Sotto queste apparenze di bimba, saprai essere te stessa e non cambiare quello che sei e che farai, e gli altri non ti valorizzeranno più di tanto; e anche se non sai leggere pratiche e documenti, o muoverti nell'ambiente come la gente si aspetta da te, non ti preoccupare: per il mio regno occorre una persona semplice, sincera e vera, niente più. Al resto poi penseranno tutto loro - e indicò i suoi tre accompagnatori. E adesso, cara Ciccietta rappresentante del Re, continua a giocare, e ti ringrazio per aver accettato. Ricordati che da ora in poi sarai sempre nel cuore e nella mente del tuo Re, del quale rappresenterai certamente la sua persona al meglio e all'ottimo!".
Ogni anno il Re mandò i suoi inviati alla fanciulla, e ogni anno lei gli faceva pervenire un bel girasole, segno che il Regno del Re poteva contare sulla solarità, sulla serenità e sulla missione della ragazza.
"RADAMAN"
"RADAMAN è un suono antico, una specie di mantra, che si tramanda da secoli e secoli da padre in figlio e da generazione in generazione, per la rigenerazione delle proprie membra, per la purificazione dello spirito e della mente; da eseguire con delicata sonorità della voce, singolarmente o insieme, e ripetendolo più volte, da un minimo di tre al massimo delle vostre possibilità".
(Dal messaggio del fondatore del Radaman)
Ho provato anch'io - pur non essendo seguace di quella comunità di fedeli - a ripetere alcune volte "Radaman", e vi dico che è stata una cosa eccezionale fin dall'inizio; e anche ora proseguo, appena ne ho il tempo, in questo meraviglioso esercizio fisico e spirituale. Sì, non sembrava vero, ma il ripetere con sincerità questo semplice e non definibile termine, ha aperto le orecchie del cuore, rilassandolo; ha ripulito il cuore della mente, spazzando via tutto l'accessorio; ha disposto l'animo a vivere in uno spirito nuovo le cose di sempre, anche le più vecchie e abbandonate, e le più insulse e banali, che hanno ripreso spirito e vita e un valore mai prima immaginato. Ripetere questo suono è diventato anche un esercizio per equilibrare il corpo e lo spirito, come se questi fossero due piatti di un antico bilancino, con l'ago della bilancia: "Radaman". Equilibrio fisico e spirituale! Altro che le nostre diete, dove si toglie e si toglie e ci si va a sfinire nella debolezza estrema! Qui ci si ciba, ci si nutre dell'alimento degli dei, ricaricandosi, risuscitando le nostre energie dimenticate o lasciate nel profondo del nostro io; e semplicemente ripetendo con sincerità come di fronte a uno specchio immaginario: "Radaman"... E così, prendendone sempre più coscienza, ti accorgi che con questo esercizio stai ritornando a essere quello che sei, dopo essere stato quello che non eri.
AVREMMO VOLUTO
Salve a tutti, mi presento: mi chiamo Avremmo, Avremmo Voluto. Avremmo Voluto essere in tanti, ma sono rimasto da solo nei miei sogni, e per questo chiedo il vostro aiuto, per quel che potrete e se lo vorrete. Comunque sia, Avremmo Voluto avere un po' più di comprensione altrove, ma non mi hanno capito nelle intenzioni e nelle disponibilità da parte mia. Per questo sono venuto da voi, alla fin fine, anche se da subito non lo Avremmo Voluto.
In tante cose credo poi siamo d'accordo, anzi quasi quasi parenti - e non lo dico per favorirmi il vostro giudizio - perché penso che nei miei panni anche voi Avreste Voluto fare qualcosa in questo senso. Ora qui mi rivolgo a tutti voi, anche se magari voi non Avreste Voluto mai sentire queste cose che non Avremmo Voluto in verità dirvi mai, ma più forte di ogni silenzio, assenso e omertà è il desiderio di non tacere la realtà dei fatti. Fatti che Avremmo Voluto dire qui davanti a tutti, da subito; ma credo che anche voi Avreste Voluto avere se non un anticipo, almeno un preavviso di garanzia, perché si potesse attestare che quel che ora sto per dire è veramente interessante. Quindi vi chiedo: Avremmo Voluto agire insieme o Avreste Voluto agire prima per conto vostro e poi decidere? Non so quale sia la vostra decisione, ma ora io mi preparo a dire la situazione a chi Avrebbe Voluto già dall'inizio, appena giunto qui, disporsi ad ascoltarmi fino in fondo in tutte queste cose.
LA VERA STORIA DI GARIBALDI
I libri di storia ufficiali non raccontano spesso i fatti come sono andati veramente, per questo occorre fare una piccola delucidazione a riguardo, specialmente nel caso del grande Garibaldi. Ecco come veramente andò la sua storia. E noi di ciò forniremo anche le prove. Un primo pomeriggio di agosto Garibaldi stava fuori, sul terrazzo, a prendersi il sole; la moglie, Anita, riordinava la cucina, canticchiando un vecchio mottetto, quello dell'italiano vero, quand'ecco suonare il campanello. "Chi è?" - chiese Anita. "Telegramma per Garibaldi!" - sentenziò il postino. Ritirato il documento, la moglie lo portò al marito, che drizzandosi sulla sdraio spiegò la missiva: MILLE ATTENDONO MARSALA COMANDI STOP. "Anita, torno presto - le disse mentre era già balzato alla porta, un bacio furtivo a lei sulla guancia - non preoccuparti, continua a cantare! Ciao!". Balzato sul suo Cinquantino diede una sferzata d'avvio e sfrecciò via come un fulmine. Da lontano lo videro subito quelli del bar, e lì sbarcò abbandonando a terra il Ciao; ordinò un Marsala e si unì al tavolo degli amici: "Scommettiamo sui mille?"... Ma perse a briscola, e dovette sborsare i Mille che aveva pattuito. Un po' deluso, un po' arrabbiato, salutò frettolosamente, ritornò al Ciao, balzò su e schizzò via più di un fulmine. Ai comandi del suo sgangherato motorino, sfrecciando come un bossolo, immaginò quel che gli restava ancora in canna: le lire! E così, prima di giungere a casa, ordinò - non avendo più i Mille - lo sbarco delle lire. Quelle lo attesero tutte davanti a casa sua, e fecero all'unisono una grande esecuzione, accompagnandosi a quell'antico mottetto di Anita, quello dell'italiano vero.
L'INCREDIBILE
Il paradosso sta proprio in questo: è non credibile, ma è vero! Quello che non è da credere, è da vivere! Ciò che non riesco a capire, lo vivo già! Il non credere in questo caso ha superato il credere! Il vero ha trasformato in sé quello che appariva non vero! L'ha adottato, assimilato, recuperato, rigenerato, riabilitato! Si è aperto un varco nel muro che non permetteva al non credibile di essere vero, e si sono riconciliati! Meraviglia e stupore ai nostri occhi! Ciò che non vedevamo va d'accordo con quello che vedevamo e toccavamo. Dal procedere a tastoni si va ora a passo sicuro, rincuorati. Son quasi gemelli, l'incredibile e il vero, se li guardiamo col paradosso. L'incredibile è stato assunto a verità, e il vero non ha disdegnato di curvarsi fin giù a lui per aiutarlo a rialzarsi, da dove chi non gli aveva creduto lo aveva abbattuto. E tutto è avvenuto in dono, non per merito di qualcuno, e anche questo è un allegro paradosso: senza alcunché addosso, l'incredibile, povero e nudo, ridotto all'osso, viene accolto nella casa del vero e proprio, di chi ha, di chi è di più, e ora condivide e lo sente fratello, gemello, una metà di sé. E' proprio vero, e questo è incredibile!
LA DAMA SOLA
Una dama un giorno si avventurò per il mondo, per cercare qualcuno con cui condividere la sua situazione; il fatto è che da sola non sapeva più su chi contare, con chi poter giocare, chi poter amare e da chi poter essere amata senza essere tradita. Dopo l'ennesima sconfitta aveva deciso di andarsene via da quel luogo dove era da sempre confinata, e sconfinare… Ma ora che aveva raggiunto il cuore della foresta e la sera annunciava la notte ormai vicina, si sentiva sola, sempre più sola. Gli mancavano le sua pedine, e non solo le sue, ma anche quelle contro le sue; sentiva la mancanza anche di quei virili damoni che le facevano la corte; e se è vero che era partita all'avventura, ora questa situazione aumentava in lei la paura, l'ansia, il disagio, la solitudine. Rimpiangeva le sue prigionie, che almeno le avevano dato finora sicurezza; avrebbe voluto tornare indietro, a riprendersi quel poco del tutto che aveva sognato, mentre ora aveva il tutto e sognava di tornare a quel poco. Tutta quell'atmosfera di mistero le faceva mancare la terra sotto i piedi. Le regole precise delle mosse di prima adesso non servivano per niente ad indicarle la strada, a darle almeno una possibilità. Scomparve pian piano nel folto della foresta, e nessuno mai più la ritrovò e nemmeno la cercò; si dimenticarono di quella dama, ma il mondo continuò a giocare anche senza di lei. Già, il mondo è pieno di dame e di damoni, di pedine che si sfidano e che si giocano le vincite, disposti tutti ad amare e ad essere amati, ma anche a tradire e ad essere traditi, pur di continuare a giocare.
GRANDEUR
L' essere grandi e potenti a volte porta ad esser pieni di escrementi, che dalla pienezza del sé vengono riversati con tracotanza e senza alcuna decenza su chiunque di queste pienezze sente la mancanza. Chi più e chi meno, chi in un modo e chi in un altro, tutti quanti noi aspiriamo a questa pienezza di fondo. Anche chi è povero a volte si riempie della sua povertà per dare senso alla vita e prevalere su altri poveri o per vantare diritti nei confronti del ricco. Ma è più povero il ricco che si svuota o il povero che si riempie? Ricchi e poveri è un complesso, in cui è difficile distinguere grandezze e povertà. L'escremento è ciò che accomuna tutti quanti, in fin dei conti. Se abbassassimo gli occhi a osservare meglio non da dove arriviamo, ma quello che produciamo oggi, forse impareremmo ad agire non più come mosche, ma come api. Non più noiose mosche che si raccolgono attorno alla feccia per goderne, riempirsi e farsene grandi, ma piccole preziose api che operano per produrre anche solo una piccola goccia di quel miele energetico e salutare del quale ha necessità e urgenza la nostra umanità.
CANTICHE ALLA MADONNA
Ci sono tante cantiche religiose e mistiche che nella storia hanno venerato con voci elette e melodiche la santa Vergine, ma mi hanno affascinato queste due in particolare, che poi, in verità, non giungono affatto dal mondo religioso e sacrale, anzi forse proprio dal contesto più inadatto, almeno apparentemente. Comunque, mi hanno aiutato a rivolgermi meglio a Lei, con più libertà, senza mancarle di rispetto, e con più amore, senza spingere più di tanto la loro interpretazione e non andando oltre il testo citato.
Ma veniamo alla prima:
Questa mattina mi sono alzato
O bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao
Questa mattina mi sono alzato
Ed ho trovato l'invasor.
O bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao
Questa mattina mi sono alzato
Ed ho trovato l'invasor.
Un saluto mattutino a Lei, la prima cosa: a Lei mi rivolgo; "bella", racchiudendo Lei la bellezza; "Ciao", come amica, vicina a me. Le ricordo subito di venirmi in aiuto, perché all'inizio della mia giornata già l'"invasor" demoniaco è in atto. Aiutami. Saluto, venerazione, devozione, affidamento e richiesta di protezione in poche righe.
Passiamo alla seconda:
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l'amore, metteva l'amore
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l'amore sopra ogni cosa.
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l'amore, metteva l'amore
La chiamavano bocca di rosa
Metteva l'amore sopra ogni cosa.
Un segno richiamante a Lei: la rosa, accostata alla sua parola: dalla sua bocca escono parole come rose. Che si pongono delicatamente sopra ogni cosa. Una stupenda definizione mistica della Vergine.
Iscriviti a:
Post (Atom)