.


Né aggiungere né togliere vogliam qui adesso fare
ma sol porre l'accento a quello che la vita ci passa
senza troppo accentuare, senza venir meno ad esso

VERITA' IN BOCCA


Diciamo tante cose che spacciamo come vere, ma come i veri spacciatori lo facciamo solo per ottenere approvazione, guadagno in considerazione, compagnia per noi e sostegno per la nostra vita. Ma di quella che diciamo essere cosa vera, a noi cosa interessa? Che cosa ci tocca? Daremmo anche solo un'unghia della nostra mano per garantire quello che diciamo essere vero? Se la verità non ci tocca mai, a che serve se non a farci grandi e ingannare gli altri? Se ad ogni nostro dire ci fosse un possibile morso se non fosse vero, avremmo ancora il coraggio di affermarlo? La verità se mi fa male, è vera; può farmi anche bene. Ma se non mi fa niente, non è per niente vero quello che dico. Lo dico solo per coprire quello che non sono in verità. La bocca della verità è la nostra: prima di parlare e dire qualcosa, mordiamoci la mano se sappiamo che ancora non ci tocca, per non doverci morsicar le mani quando ormai è troppo tardi.
 
 

OROSCOPO ODIERNO


ARIETE: attenti a sbattere dove volete battere il vostro tasto.
TORO: sarete affrontati da qualcuno più forte di voi, evitatelo.
GEMELLI: quello che vedi è solo un aspetto, ne apparirà un altro.
CANCRO: non pensare di vivere sempre in salute: lui ti aspetta.
LEONE: non fare sempre la pecora, tira fuori la tua grinta.
VERGINE: la tua la vedi da lontano, tenta di recuperarla.
BILANCIA: ti sei appesantito, non in quel che fai: in ciò che sei.
SCORPIONE: il suo veleno è sempre alle porte, appena gli apri.
SAGITTARIO: scagli frecce a tutti, ma esse sono un boomerang.
CAPRICORNO: insisti, insisti, finchè non sarai esausto: smettila!
ACQUARIO: stai come un pesce in acqua; se ne esci sei morto.
PESCI: il silenzio sia la traccia delle strada che vuoi seguire.

MISERERE


Aver misericordia in questa vita ci rende più veri e misericordiosi, ad immagine del perfetto primo uomo incontaminato: l'Adamo prima del peccato, l'Eva prima della prima mela. Miserere è aver misericordia non solo in passivo, una specie di compassione e di commiserazione, ma è soprattutto positiva: il donare la misericordia. Che cos'è poi in fin dei conti questa misericordia, se non mettere nel nostro cuore le miserie umane e i miseri che incontriamo nella vita, magari cominciando proprio dalle nostre miserie, quelle che occultiamo con la maschera dell'ipocrisia e della superficialità, scagliando sugli altri quello che dovremmo prima scagliare con decisione su di noi? Miserere: un atto di misericordia del cuore non fatto e finito in un atto, ma un evento che è seminato nei nostri gesti di fede, di speranza e di amore, e che siamo invitati a donare a nostra volta - dopo averli ricevuti in dono - come missione a questa nostra umanità, che di misericordia ha tanto, tanto e urgente bisogno per vivere.
 
 

JAZZ


Jazz è un grande amico. Appena gli dico: vieni, ecco che lui è già qui. Con uno spritz al ghiaccio io con lui interfaccio il mio misero pensier. Ecco che lui lo allieta, senza provare pena, ma suscitando in vena un nuovo musicar. Sono con lui da sempre, da me non vuole niente, basta star qui a cantare e a ballare sotto quest'ombrellon. Non chiede altro strumento che il suo stesso arrangiamento, ecco che mi improvvisa, e mai per questo avvisa. E' proprio sorprendente che basta serenamente abbandonar le membra a questo mio destin. Ecco che mi scatena là dove sembravo morto, da schiavo sempre assorto in quotidianità. E' sempre una sorpresa che su di me fa presa, è sempre dolce resa a questo suo eseguir. Pone una melodia che alcuna volte strazia, ma rompe la disgrazia ed ecco cosa fa: tutto quel ch'io faccio lui prende in un abbraccio, mai io mi sento solo in questo suo jazzettar. Ecco che mi resetta tutto quel mio costrutto che mi ha distrutto, ma ora non c'è più. Dopo un solo minuto mi son riconosciuto in quell'energia che mi riporta via, via da quella vita che era ormai perduta, e che ora risorge dopo le mie orgie, dopo quello stato che mi aveva depravato. Grazie a questo mio Jazz amico, mi son riconosciuto, mi son ricostruito, mi sono ricreato, perché sentito amato; grazie all'esecuzione senza l'interruzione. Solo questo dannato spritz ferma ora un poco il jazz; ma appena sciolto il ghiaccio, ecco che quell'abbraccio starà sempre con me anche dopo salutato Jazz.
 
 

CRISTOLOGIA ELEMENTARE


Ognuno di noi quando nasce riceve come dono da Dio un raggio del suo Spirito, perché ne possiamo vivere. Ma questo raggio sceso in noi viene tagliato e bloccato dal Diavolo, che ne prende possesso e lo riveste della luce di sé: potere, piacere e grandezza. Per questo agiamo sempre partendo da questi tre, istintivamente. Allora il Figlio di Dio ottiene da suo Padre di liberare questo Spirito bloccato e deformato in noi. Scende dal cielo e prende forma nell'umanità. Con lo Spirito originale di Dio, che è Silenzio, Amore e Accettazione, annuncia agli uomini il modo di rendersi conto dell'inganno, di liberarsi e di riprendere il raggio che li riconduce a vivere come Dio. Con l'aiuto di Maria, Gesù (questo il nome del Figlio qui sulla terra) riesce in parte a ridare ad alcuni uomini la coscienza della loro identità originale; ma in parte però altri uomini non vogliono questa coscienza, e così questo non si realizza. Oggi Dio conta anche sulla nostra coscienza che si fa aiutare da quella di Gesù, per ritornare poco per volta allo Spirito originale, liberandoci dallo spirito deformato che agisce in noi. 
Se accolgo con la mia coscienza il messaggio di Gesù,
libero me stesso e chi incontro dallo spirito di morte, 
ritornando di nuovo a vivere dello Spirito di Dio.
 
 

SU E GIU' PER LA SCALA


DOpo aver riposato un po',
REsto ancora un momento assorto,
MI DO una piccola scossa,
FAccio un piccolo saltello,
SOLletico un poco LA mia apatia,
LAncio fuor da me un po' di energia,
SIcuro MI metto a saliRE fin LA',
DOve oltre non si può più andaRE.
...Guardo,... MI fermo e LAssù REsto SOLo un attimo:
SI deve sempRE LAsciaRE il SOLe
LA', perché MI FArebbe male,
SOLo il MIo SIlenzio gli posso lasciaRE,
FAmmi ancora mandaRE un saluto
MI REsta un po' di DOlore,
REmare contro MI paRE,
DOpo LA REgale SInfonia.

PREGHIERA A DUE


Signore,
voglio la salute!
                            E tu, comincia a salutare!
Signore,
un po' di denaro!
                           Quello che hai ora lo usi per il necessario?
Signore,
voglio la pace!
                         Ce l'hai già, ma non l'hai ancora seminata!
Signore,
stammi vicino!
                         Tu ti stai avvicinando al tuo vicino?
Signore,
quando finirà questo?...
                                      Quando tu inizierai quello!
Signore,
aiuta questi poveri!
                               Tu, perché non mi incontri in questi poveri?
Signore,
scendi dal cielo!
                           Smettila di nascondere la testa sotto la sabbia!
Signore,
perché sto a pregarti?
                                  E' quello che mi chiedo anch'io verso di te!
Signore,
dove sei?
               E tu?

AGGIORNAMENTI DEI 10 COMANDAMENTI


Dei 10 Comandamenti dati a Mosè sul monte Sinai
occorre dare un aggiornamento; questo è il momento:
 
1) NON AVRAI ALTRO IO
    AL DI FUORI DI TE
 
2) NON PERMETTERE A NESSUNO
    DI NOMINARTI INVANO
 
3) FESTEGGIARE
    DEVE ESSERE LA PRIMA COSA PER TE
 
4) ESIGI SEMPRE RISPETTO
    DA CHI E' INFERIORE A TE
 
5) LA TUA VITA E'
    DA DIFENDERE A TUTTI I COSTI
 
6) FAI QUEL CHE TI PARE E PIACE
    BASTA NON FAR MALE A NESSUNO
 
7) PRENDI SEMPRE E SOLO
    QUELLO CHE SERVE PER TE
 
8) NELLE DIFFICOLTA'
    CERCA DI ARRANGIARTI
 
9) NON SCIUPARE LA TUA DONNA
    USANE SEMPRE UNA ALTRUI
 
10) SII SEMPRE SOPRA TUTTI
      IN TUTTO CIO' CHE VUOI
 
 

L'AUTO(RITA')


Che cos'è l'autorità? Forse la risposta a questa domanda non interessa più di tanto. Riesponiamola così: chi ha autorità? Adesso cominciamo forse a crescere nella curiosità, anche pensando che ci possa riguardare da vicino. L'autorità è come l'auto di ciascuno di noi: con essa possiamo andare, da soli o con altri, vicino o lontano, vagando a vuoto o per necessità. Ecco che cos'è l'autorità. Se viaggio da solo, anche andando lontano, a che mi è servita l'autorità? E poi, a conti fatti, era proprio necessario consumar tutto e soltanto per me quest'enorme spreco di carburante? L'autorità non mi ha forse svuotato, deluso, impoverito e lasciato solo a dirigere me stesso? Mi sono automobilitato ad essere abilitato a far quel che voglio, questa è forse l'unica conclusione? Se viaggio in condivisione, è tutt'altra la mia situazione: pur essendo solo io alla guida, non sono solo: la mia autorità si espande e si regola con quella di altri che pur avendo la loro autorità, la condividono con la mia. Condividendo con me la spesa del carburante e dei pass autostradali, pur andando anche lontano, le spese son comunque dimezzate. Condividendo con me la stessa autorità, cioè il viaggiar con l'auto, la gioia di tutti noi viene raddoppiata. Con questa autorità Dio guida il suo popolo. Dove ti trovi ora con la tua autorità? Non sarai ancora lì nel tuo garage a lavarla e rilavarla, pulirla e ripulirla, per farla solo luccicare?

 

L' ARMA(DI)DIO


Qualche volta ci chiediamo nella nostra vita perché Dio per noi non faccia questo o quello, perché non intervenga, perché permetta che avvengano certe cose,... Ma questa è una domanda solo nostra, che non ha altra risposta fuori di sé che la stessa domanda: è una questione già chiusa dall'inizio. Spieghiamoci meglio, con un esempio. Dio ha fornito a tutti noi - a tutti, anche a chi non lo voleva - un armadio. Sì, proprio un armadio: un armadio spirituale, morale, invisibile, umanissimo; e per ognuno vi ha riposto il materiale necessario per vivere i momenti belli e per sopravvivere negli eventi contrari. Ognuno di noi poi, nel corso della vita, vi ripone altre realtà, a seconda delle esperienze che fa; e toglie, secondo quello che non vuole più, o che non serve, o che considera da buttar via. Potremmo allora dire che quell'armadio è l'arma vincente che Dio ha fornito a tutti noi per affrontare le battaglie della vita, per essere forte e un guerriero di luce, di fede, di speranza e di pace. Un armadio: l'arma di Dio in noi. Non lo vediamo perché, oltre al fatto di essere invisibile, è dentro, e non fuori di noi. Apriamo dunque le porte di questo armadio, ci suggerisce questa vita, e traiamo le cose necessarie che chiediamo agli altri e a Dio, quando già le abbiamo in noi stessi! Se lasciamo sempre chiuso questo magico contenitore, non è forse da stolti cercare fuori quello che invece dobbiamo tirar fuori dal dentro di noi?
 
 

LA MERENDA DEGLI DEI


Ho messo Allah sul mio sofà, gli ho detto: aspetta, non aver fretta, poi ho fatto il the e ho messo Buddha, ho messo lì anche un po' di frutta, era un po' brutta, mah...va bene così. Ecco che ho visto che arriva anche il Cristo, lui porta un cesto chissà che c'è. Dopo il saluto si è lì seduto accanto a loro, e si fa un bel coro. Non so se è presto ma da quel cesto quel buon divino vi trae del vino; accanto al the che già lì c'è si mette in onda una baraonda fatta di canto e anche d'incanto...c'è allegria ormai tra noi. Ecco sull'uscio ora Confucio che morta un micio che fa miao miao, ed è il suo ciao per quella festa che da merenda si trasformò. Arriva uno che crede a niente, e allegramente si siede giù, accanto al vecchio televisore chissà che vuole poi questo qui. Comunque sia, adesso stia, nessun di noi gli fa domanda, quel che comanda glielo darem. Ma giunge Brahma con un bramino che porta il vino, che già ce n'è. Vishnu si aggrega col suo compare e fa apparire Shiva, di corsa arriva. Ormai siam tanti, chissà i credenti che ci diranno al vederci qui!  Mentre accingiamo a chiuder la porta si sente ad essa ancora un suon. E' il vecchio amico Anubi che dalle le nubi è arrivato qui; e dietro lui appare Apollo che ha fritto un pollo per tutti noi. Che grande festa ora iniziamo…E piano piano ecco fuori piove: è lui: è Giove, il dio sovrano, che sul divano si mette giù, dicendo a tutti: non c'è Nettuno, la moglie ha detto: non devi andare, e non ha potuto venir con me. A noi questo pur dispiacerà, ma ora inziam a far questa merenda tra le divinità! E anche quello che non crede a niente, la faccia adesso allegramente!
 
 

ABARA'LLA OVIRCS

obara ni onailati'l erevircs a otavorp oH
onarts id èhcnarg nu otatlusir è non ehc ocid iv e
elamron lad irouf azneirepse avoun anu non es
noN...effezzib a omaiccaf en ìsoc esoc etnat am
am etnemlacitammarg allun otaibmac è
!em ni atartne è osrevid odnom nu rep aitapmis al

 

TARANTELLA DI GESU'


Annunciando la Buona Novella
una tarantella mi metto a ballar,
e mi guardano tutti i credenti
digrignano i denti non so proprio perché,
poi li vedo tra lor mormorare
non si mettono affatto a ballare
ma mi voglio fare la festa
che storia è mai questa
che balla Gesù?
 
Non pensavo di aver suscitato
una tale questione da farli arrabbiar
e in cagnesco mi guardan, che hanno?
Ordiscono inganno apposta per me,
ed il gruppo si fa più nutrito,
c'è la folla che aveva osannato,
ora adesso verrò contestato
perché avevo ballato
non ricordan Gesù?
 
Non capisco perché tarantella
per lor così bella adesso non va,
la ballavan col nonno e la nonna
non è una colonna da far lì posar,
non si può qui così fare il morto,
chi c'è qui forse ancor non s'è accorto
che la buona novella è una danza
è la viva credenza
in chi crede in Gesù?
 
Ma la cosa si fa più cruciale
m'han messo la croce bloccandomi qui
e pensare che il passo di danza
portò in lontananza il meglio di sé,
ma la gente ormai non capisce
e d'amore ormai deperisce
mentre cova già tutto quell'odio
verso un dio che ballando
si crede Gesù.
 
Finita così è la mia buona novella
e la tarantella che volevo annunciar.
Da tre giorni son già nella tomba
ma ecco una bomba che scoppia con me
sono il Padre e lo Spirito Santo
che mi fanno risorto d'incanto
e si mettono pure a ballare
quella tarantella
insieme con me.
 
 

IL COLORE DEI SOLDI


I soldi, questa benedetta o maledetta regola della nostra vita!
Ma che colore hanno veramente i soldi, al di là della loro stampa?
Quando li uso per un fine nobile, ad esempio la condivisione, ecco che i soldi si colorano come l'arcobaleno; ma quando faccio affari loschi, usandoli solo per il mio ego, ecco che essi diventano grigi, neri. Quando mi metto a calcolare come usarli, invece, essi appaiono nella loro trasparenza, come in attesa di ricevere il colore adeguato a quella situazione nella quale io mi metterò. I soldi, in effetti, non sono soprattutto per il corpo, anche se per questo essenzialmente vengono usati; sono invece lo specchio dell'anima, sono il riflesso del mio io, e anche del mio dio. L'uso del soldo da parte mia rivela, anche attraverso una o due monetine, il mio stile di vita. Sono come biopsie del mio comportamento, di chi sono, della mia identità. Non a caso sulle monete c'è quasi sempre stampato un volto. Non a caso anticamente si offriva in merce non soldi ma vite: di animali, come denaro; di persone, come mercato di scambio anche per realtà durevoli, quali il matrimonio. Colorando i soldi, io do colore alla mia vita; se si scolorano, se perdono colore, anch'io sono perso. Posso avere tanti soldi scolorati, e un soldo soltanto ma pieno di colore: così avviene nell'essere umano. Il primo soldo sono io, loro sono sempre e soltanto assoldati da me, soldati che combattono con me la battaglia della vita, o che fuggono da traditori da tutto ciò che li interpella.

 


MATRIOSKA


Con faccia tosta, nascosta ora qua ora là, che scuola mi fa! Fa scuola di vita che sempre si arrangia da ciò che si sgancia e ritorna così, così piccolina che pensi al neonato ma quello è sparito nel seme di sé. Allora stizzito e un po' ingalluzzito mi faccio più grande e più largo di lui ma ecco che appare gentil giovinetta che come provetta richiude il bambin. Ritento la sorte e il gioco riparte si mette una donna in mezzo a quei tre. Ma mentre li guardo appare dal fondo un vano profondo vediamo che c'è. Un'altra pulzella ancora più bella riporta il percorso a voler continuar. Si mette e si toglie aveva le doglie la terza signora che adesso mi onora di metterla lì. Credevo finisse, ma non sono fisse, da sopra ne giunge un'altra coi fior. Se son contadine son belle e son snelle ma adesso oltre a quelle ne arriva una grossa non è pelle e ossa le trae tutte a sé. Un gioco in famiglia mi sa è parapiglia da sotto e da sopra si gioca così. L'incastro è variato, vien tolto e vien dato, da sopra e da sotto, accade così. Ma con la più grossa non so se si possa andare più oltre, bisogna tornare. Riaprire a quell'altra, a quella coi fiori, orsù vieni fuori, che or tocca a te. Da quella saltella la terza pulzella non ha partorito di voglia invaghito ha il cuore per me. Ma il cuore che avanza non ha più la panza si svuota ed appare che ancora ce n'è. Non so se è la prima o se  appar la seconda in mezzo alla terza si pone a guardar. Si apre a provetta gentil giovinetta ed ecco riappare gioioso il bambin. Lo osservo beato, ma è già ritornato nel chiuso di sé. Curioso mi metto con molta attenzione, c'è dentro qualcosa, è il seme di lui. E' inizio di tutto, di quella catena che tutto scatena, e mi vuole con sé. Mi fò piccolino, in quel seme carino che tutto quel gioco per me generò. Non è donna losca la mia matrioska, è madre che irradia la vita da sé.
 
 

IO SONO IL 1001°!


Da quando Garibaldi disse: lotto per mille, quella sua lotta a nome delle 1000 lire e dei mille suoi mi affascinò, e mi contagiò nel dare i numeri anch'io. Proviamoci. L'uno è il fratello gemello della Luna, credo; e luno e luna fanno due. 3mo con la febbre oltre 37, perché ho l'incubo che trenta sette di fanatici mi stiano addosso. Mi sveglio di soprassalto: erano solo 4 gatti, ma li chiamavano trinità, per cui aggiungendosi ai 37 i 3 della trinità fanno apparire di nuovo un incubo: quello dei 40 ladroni. L'incubo continua, stavolta: loro passano accanto a me, cercano...ma non trovano, e tornano indietro, incontrando i 4 gatti. Siccome al momento del loro incontro con i 4 gatti i 40 ladroni non sapevano che quelli erano chiamati trinità - da calcolare con tre -  il numero ora risulterebbe 43. Ma con l'attenuante del loro non sapere che i 4 erano da calcolare per 3, li lasciamo 4. Per cui, ora giungiamo a 44. Ora, il 44 non è altro che l'energia amplificata del numero 4, che dobbiamo ritornare a considerare, perché l'energia di questo viaggio si era andata esaurendo, riportando tutto al 4.  Riposiamoci allora un attimo… Riprendiamo energia, aggiungendo il 44 che nel riposo ha recuperato se stesso e portando con noi il 4 di emergenza, che dobbiamo quasi subito usare, essendo ormai a conclusione… Quindi 44, aggiungiamo 4, e tutto finisce e termina in un grande botto di energia, talmente pieno che possiamo chiamarlo a buona ragione e a calcolo di energia: un 48.
E dopo questo botto, Garibaldi - ne sono certo - mi prenderà con sé nelle sue battaglie.

 

SBAGLIAMO O SPAIAMO?


Farsi deridere è sempre il rischio che deve assumersi chi varca la soglia della serietà. Tutti possiamo sbagliare, e lo tolleriamo anche, specialmente se ci riguarda di persona. Ma ciò che assolutamente non tolleriamo su di noi è il fatto di farci deridere, specialmente quando vogliamo essere seri. In una sorta di contrappasso, siamo estremamente propensi a favorire che gli altri che viaggiano in serietà siano derisi; e quanto più si assumono un volto serio, che tanto più lo siano, derisi da parte nostra, e tolleranti nel farsi deridere, da parte altrui. Tutto questo ha la chiave di lettura non - come ci aspettiamo - dal fatto di aver noi o loro sbagliato, ma nel fatto di avere spaiato, separato, confuso e messo al contrario qualcosa che andava messo all'inverso. Le pantofole messe spaiate ai nostri piedi ci fanno già procedere a modo goffo, pronte a farci deridere nel nostro piccolo; ma quanto più le pantofole le mette chi è più in alto di noi, più il farsi deridere diventa un atteggiamento condiviso a raggi in espansione. Se è poi l'autorità a spaiare le cose, spareremo a zero con le nostre ironie e derisioni. Insomma, noi possiamo tutti sbagliare, ma dobbiamo essere estremamente attenti a non spaiare le cose, per non apparire goffi e dover essere messi alla gogna della generale derisione.
 
 

IL PASS E' ROTTO


Siamo tanto abituati a usare le cose tutte quanto per noi, che appena qualcosa non va in esse ci creano apprensione e agitazione. Anche solo riguardo a piccole cose, ci disturba il fatto di non poterle contenere in noi, o di non poterle controllare. Ma il peggio è quando dobbiamo constatare che non le possiamo riparare, quando proprio non c'è più niente da fare. Non possiamo andare avanti, siamo bloccati, c'è come una sbarra al nostro agire, al nostro pensare, al nostro volere, al nostro dire: tutto quanto di noi non può più passare oltre. Ma ce la prendiamo soprattutto perché non possiamo amare come vogliamo, e quindi questa sbarra invisibile ci fomenta l'odio contro questa situazione avversa. Ciò che era per noi, da quando è impossibile ad esserlo, diventa contro di noi. E questo avviene anche nei riguardi delle persone: finchè ci lasciano passare in tutto quello che siamo, bene. Ma quando ci fanno anche solo critica, o ci mettono in dubbio, quando ci bloccano e non ci fanno andare oltre, quando insomma ci rompono, ci arrabbiamo e li odiamo. Ma forse non abbiano considerato che, alla fin fine, quel pass che si è rotto in tutta questa storia siamo proprio noi, solo noi.
 
 

IL PRIMO AMORE NON SI SCORDA MAI


In ognuno di noi, nel nostro profondo dell'animo vitale, proprio alla sua radice originale, è nascosto e custodito preziosamente un tacito accordo, una sintonia misteriosa ma anche prettamente amorosa alla quale attingere nei momenti più cruciali e più intensi della vita. Un accordo che riguarda sempre una nota dolente o gioiosa dell'esperienza che il destino o le nostre scelte mettono in gioco sul cammino di ciascuno. Si tratta di cuore, di musa più che di musica, di atmosfera miracolosa e sorprendente che ci fa intraprendere un nuovo percorso al di della strada da sempre percorsa, e ci fa andare oltre, sconfinando in un modo a volte pericoloso e imprudente, ma anche - ed è per questo che lo scegliamo - troppo, troppo, troppo affascinante. Il fascino dell'interessante è lo slogan per il quale scegliamo o veniamo colti dal primo amore, che non si perderà mai, al di là di ciò che avverrà dopo quel primo accordo, dopo la sua prima esperienza. Prima nel tempo, perché rispecchia la nostra origine; prima nello spazio, perché tutto il resto in quel momento è spazzato via, prima perché è la sommità della piramide del nostro io dalla quale faremo discendere a pioggia tutto di noi verso il terreno sottostante: il mondo. Già, con questo primo accordo ci sentiamo al settimo cielo, e questo non lo dimenticheremo più, ed emergerà anche dopo che ce ne saremo magari allontanati o dal quale il destino ci avrà fatto allontanare. Ma nel conscio e nel subconscio questo tacito misterioso primo accordo resterà sempre alla sommità della piramide del nostro amore, suonando e risuonando in noi, senza scordarsi mai, mai...mai.
 
 

ANIME IN PENA


Basta solo svoltare l'angolo, ed ecco vedere in un qualsiasi volto l'anima in pena che cerca senso, consolazione, o anche solo un pizzico di considerazione. Siamo soli, in negativo: nel buio ; dovremmo essere soli, in positivo: illuminanti. Appena appena, ogni anima in pena sembra vagare per la città come avesse in mano un cappio, che con rabbia vorrebbe porre attorno al collo altrui, o con delusione vorrebbe attorno al proprio. Appeso a questa pena, ognuno di noi fa tristezza, compassione, ma non comunione: la paura della gioia ci attanaglia, ci stringe in una morsa, nessuna mossa possiamo fare, nessuna verità possiamo dire, nessuno possiamo più baciare, nemmeno col pensiero. Siamo quasi al testamento, considerando la situazione, se non vi fosse, proprio da dove eravamo partiti, un'ancora di salvezza. Facendo il replay dei nostri passi andiamo a retro (cosa che non vorremmo mai fare, noi che ci spingiamo sempre in avanti), ed ecco, proprio prima dell'angolo, lì davanti, in visione più ampia, panoramica e globale, sollevando gli occhi (mentre in genere li abbassiamo)...Che cosa, se non il triangolo, che ci fa vedere la perfezione del nostro procedere che va, oltre l'angolo fatto, a un angolo da fare, per farsi ricondurre - perfettamente - al nostro angolo?... "Il triangolo no, non lo aveva considerato…" nemmeno lui, anche se come noi lo aveva visto. Ma ora, anche grazie a lui, possiamo prenderlo in considerazione, sospendendo ogni impiccagione  appena appena in tempo per la soluzione.
 
 

NUOVI VAGITI


Finchè c'è vita, c'è speranza, e finchè ce n'è, evviva il re. E questo per affermare la speranza non solo a parole e in augurio a tutti, ma per constatarla nei fatti di ogni giorno. Ogni giorno è denso di vagiti, che forse tra il caos e il traffico della città non riusciamo più a sentire. Ma se smorziamo anche solo un poco le orecchie che sentono da sempre solo ciò che interessa, e proviamo ad ascoltare con la gratuità del cuore, ecco che distinguiamo, tra il canto della cicala e il ritornello del passerotto, il timido e fragile ma chiarissimo vagito di qualcuno, e anche di qualcosa. Qualcuno che certo è già nato e dato per scontato, ma che vuole rinascere con il tuo ascoltarlo: che da nato vuol essere ora un rinato, a quella vita che ha perso o nella quale si è perso. E' vagito intriso di doglia, sì, perché oltre al dolore che si porta ha un estremo bisogno di nascere di nuovo a questo mondo che l'aveva messo a tacere, abortendo ogni sua possibilità. Qualcosa si accompagna a lui in questo vagito, perché ogni realtà che è stata oscurata nel suo nascere vuole ora essere illuminata e riprendere luce: venire alla luce di nuovo. Proprio per questo occorre porre un silenzioso e amoroso ascolto a questi vagiti che annunciano le doglie della città.
 
 

SOLUBILE O INSOLUBILE?


Ogni problema forse non ha la soluzione, però può essere immerso in una soluzione che pur rimanendo altro da esso, lo rende vivibile. Per cui, a conti fatti, conviene proprio dannarsi l'anima per un problema o una situazione, e volerne a tutti i costi venirne fuori e al più presto possibile, mentre occorre lasciarsi immergere nella soluzione e rimanere con pazienza a macerare proprio per non marcire e ammuffire? La soluzione di ogni problema - stiamo dicendo - è proprio la sua soluzione, che abbiamo davanti agli occhi; siccome però i nostri occhi sono offuscati o accecati da ira o altre simili passioni, non abbiamo più la visione oggettiva del reale e quindi non ci accorgiamo che dobbiamo immergere il problema proprio nella sua stessa soluzione. Ogni situazione, finchè non è immersa nella sua soluzione, è insolubile; ogni volta che invece la immergiamo in essa, viene gestita con solubilità, quindi è già risolta in se stessa, anche se resta materialmente, ma viene gestita in modo nuovo e con spirito diverso. La soluzione di ogni problema sta nello stesso problema immerso nella sua stessa soluzione.
 
 

L'ISOLA DI UAUH


Ognuno di noi sogna ogni tanto di evadere dal sistema, anche solo con la fantasia, se non può farlo al momento fisicamente e geograficamente. Comunque, senza spostarsi col corpo e senza vagar seguendo indicazioni sul mappamondo, c'è per tutti la possibilità di godersi la visione dell'Isola di Uauh, quell'oasi benefica, rilassante e tonificante sulla quale restare per qualche momento a purificarci da tutte le scorie e le avversità, a prendere un sole birichino che ti solletica e ti fa sempre sorridere e non vivere nell'ansia e nella paturnia tutte le cose che scorrono su di noi. Basta qualche attimo per sognare, fantasticare, e gratuitamente il viaggio per te è combinato, e sei arrivato. Puoi fare quel che vuoi e mangiare a più non posso, abbeverarti a ogni sorgente e tracannare ogni bevanda, anche alcolica, che non ti viene né colica né mal di testa, ma solo pienezza di gioia e sensazione di leggera follia, di serenità non meritata e miracolata da chissà chi. C'è solo da spalancare gli occhi per vedere e la bocca per contemplare, e per questo l'unica parola in quest'isola è "Uauh". Questo paradiso ti fa star bene per un po'; potrebbe continuare, ma solo a una condizione: vivere da solo, isolato dal mondo e da tutti. Sei sicuro di poterci stare?...
 
 

PECCO E RIPECCO


Pecco, e ripecco.
Ma che cosa è peccato?
Peccato è non fare, non cogliere occasione.
Che peccato! Non l'ho fatto! Eccolo, il vero peccato!
D'altronde, se fosse proprio male quel che faccio, non lo farei.
E' proprio qualcosa più grande di me, che non posso vincere?
Beh, in questo caso non ne avrei proprio alcuna colpa né peccato.
Ma se avessi coscienza che è male, non lo farei di certo.
Ma se lo faccio e lo rifaccio, se pecco e ripecco, per me è bene.
In quel momento esatto che lo faccio, è certamente bene.
Con i tempi che corrono, poi, che cos'è in fin dei conti il peccato?
Un'abitudine, un abito, che sarà pure dimesso, ma che ho addosso.
Pecco, e ripecco.
Non vale un gran che quello che faccio, ma lo faccio col cuore.
No, non ci sto a pensare.
E' passione, spinta e emozione.
Diciamo in altro modo: pesco e ripesco dal peccato quel che sono.
O meglio: quello che vorrei essere e che non sono.
Pescando nel peccato qualcosa di me ce lo trovo.
Ma non sono soddisfatto, per questo ripesco e ripecco.
Sperando di trovare e ritrovare sempre più qualcosa di me.
Pesco, pecco; e ripesco, ripecco.
Ecco, tutto qui.

OGGI SPOSI


Tutto a posto?
Banchetto, fiori, bomboniere, invitati?...
Musicanti  e animatori, autista e limousine, addobbi vari?
Casa e chiesa...già, e la chiesa, la funzione della celebrazione?...
Sì.
Però lui non sapeva ancora dell'altro di lei.
Ma anche lei, non sapeva allora dell'altra di lui.
Quando dopo la festa e con una troppa sbronza si intuì la storia, a causa di qualche parola di troppo e lo sguardo particolare ai due invitati speciali, tra i due sorse dapprima un frenetico battibecco, poi qualche battuta di troppo, fino a giungere a battute vere e proprie che lasciarono il segno per molto ai due sposi novelli. La storia comunque si approfondì con il richiamo alla testimonianza non dei testimoni ufficiali, ma dei due ufficiosi che erano stati chiamati ora insieme a testimoniare, per l'una e l'altra parte, davanti ai due sposi i loro fatti e i misfatti avvenuti. Così, ognuno dei due raccontò la storia del proprio amore concubino e adultero ormai, scatenando ora da una ora dall'altra parte reazioni e alterchi e urla incomprensibili, ma che in quel momento esprimevano una realtà che si stava delineando in questa situazione: la separazione.
Come finì tra i due novelli sposi, non sappiamo. Ma sappiamo come finì tra i due testimoni/amanti degli sposi: si conobbero proprio in quell'occasione, simpatizzarono e si fecero amici, e poi amanti tra loro e, dopo un po' di tempo, convolarono a nozze, e certamente non prima di aver accertato se vi fossero in giro situazioni compromettenti. Evviva gli sposi, allora, ma soprattutto oggi!
 
 

M'ILLUMINO D'ISTINTO


C'è luce e luce…
Per questo occorre un'illuminazione che faccia distinzione tra verità e inganno, ma non voglio partir dalla solita e assodata ragione, ma dall'altra radice che non fa tanto opinione: l'istinto primordiale. Se esso ci permetta di far discernimento vediam per un momento la fragile questione. Ed è proprio questa, la sua fragilità, il punto di forza dell'istinto. Infatti la ragione non solo fa la distinzione di verità, ma appare nobilmente distinta di autorità; e se questa è da un lato certezza, diventa anche ingannevole autorevolezza. Mentre l'istinto, che per nulla si è mai distinto né in nobiltà né in verità, appare nella sua radice molto originale e profondo, dove attingere il succo e la concentrazione della verità in origine, nel suo grembo, nel seno stesso della luce: il buio totale. Da qui infatti possiamo risalire insieme con ciò che è distinto e con ciò che è d'istinto il percorso umano, per applicare di volta in volta la nostra illuminazione verso l'infinito e l'universale questione luminosa e illuminante. Il percorso dall'alto che viene dal distinto certo non ci tocca nel vivo come invece ciò che viene dal basso e d'istinto; ma mentre dall'alto dobbiamo solo cedere e aver certezza e stop, dal basso risalendo possiamo accedere e condividere il percorso, a pausa, in autogrill di piacevole ristoro spirituale, morale, umano, e tutto ciò illumina l'uomo d'istinto rendendolo luminoso e distinto. 
 
 

IL QUI E L'ORA


Il qui non aveva più voglia di star lì e continuava a guardare l'ora: voleva andarsene via, ma l'ora gli rimarcava che non era ancora la sua ora: lui doveva stare nel tempo giusto, nel tempo che c'è; se fosse partito, sarebbe finito nell'era, e non era quello il suo tempo, la sua ora, la sua era. Gli spiegava che tra le ere passate nella storia, sarebbe arrivata anche la sua, per poter partire. Ma non era ancora giunta lì quell'ora, si era ancora nell'attesa; e se ora qui fosse partito da lì, sarebbe morto disperato, e l'ora ne sarebbe stata la causa e ne avrebbe avuto un grande rimpianto, oltre al senso di colpa. Qui osservò l'ora e capì dal suo sguardo la grande sua preoccupazione, e la rincuorò: per adesso si sarebbe trattenuto qui ancora per un po', almeno in quest'istante, le disse così; ma appena possibile, sarebbe partito. L'ora sospirò , mentre qui cominciò a guardarsi qua e là, in un'attesa all'inizio tranquilla, ma via via sempre più agitata. L'ora osservava con apprensione qui, vedendolo sempre più in agitazione: non c'era proprio niente da fare, prima o poi sarebbe partito. Tentò l'ultima mossa, spiegando con delicatezza e calma a qui che lui e lei erano fatti per stare insieme, sì, ma ora, adesso, non dopo che lui se ne sarebbe andato da lì. Partire da lì per qui era l'unico modo da prendere sul serio, alla lettera. Ma che qui partisse da lì avrebbe significato la morte di qui e la mortale solitudine dell'ora. Come lei avrebbe vissuto lì dall'ora in poi?...
Non sappiamo come procedette la situazione; però, oggi, sappiamo che le cose si sono sistemate alla meglio: oggi stanno insieme stabilmente, incrollabilmente, il qui e l'ora.
 
 

INTERVISTA A UN ATEO


Scusi, la posso intervistare?
Perché le interessa?
Mi hanno detto che lei si professa ateo. E' proprio così?
E' vero.
Cosa intende con questa definizione?
Che non voglio saperne né di dio, né di religione né di chiesa.
Posso sapere da dove nasce questa posizione?
Da imposizioni del mio passato e da situazioni sgradevoli subite.
Ora quindi in questo modo si sente libero?
Sì, abbastanza.
Perché abbastanza e non pienamente?
Beh, non è che riesco a realizzare tutto quello che voglio.
Perché ci sono ancora altre condizioni?
Certo, e ce ne saranno sempre.
Non ha qualche nostalgia?
Beh, di religione, no; di chiesa nemmeno; forse, un po' di dio.
In che senso?
Vorrei aver conosciuto quel dio che mi è stato nascosto finora.
Quindi lei crederebbe a questo dio...
Sì: da sempre cerco di vedere se ci sia un dio non come quello…
Quello che le hanno inculcato…?
Già.
E può anche dirci a che punto è nella sua ricerca?
Sono libero da ogni dio...e se dio c'è davvero, si farà sentire.
Beh, intanto, la domanda su di lui non la esclude.
Ho detto che sono ateo, non contrario.
E' una sincera posizione la sua, secondo me.
...Scusi, ma non doveva essere lei a fare le domande?
Beh, è che il suo modo di porsi è molto interessante e positivo…
Che vuol dire con ciò?
Che è un vero credente...che dà speranza, e perciò la ringrazio.
Grazie a lei.
Beh, allora...arrivederci...No, anzi: Addio!

INTERVISTA A UN CREDENTE


Scusi, la posso intervistare?
Certamente, se crede sia cosa buona per lei.
Credere per lei è una cosa buona?
Certamente, ma soprattutto è valida, non buona.
Perché non tanto buona ma soprattutto valida?
Perché non è cosa che fa piacere ma soprattutto da valore.
A che cosa?
A tutto, e a tutti.
Che vuol dire con questa totalità?
Che il credere riveste le cose e le persone che incontro.
E Dio come è visto in tal senso?
Il senso non è che io credo in Lui, ma è Lui che crede in me.
Quindi il credere per lei non è cosa nostra ma dono di Dio?
Sì, soprattutto sua e non basata sui nostri meriti.
Il merito di credere, dunque, non ha distinzioni?
No, tutti hanno in se stessi il dono del credere.
Tutti alla stessa stregua, quindi?
No, la differenza la facciamo nel nostro modo di accogliere.
Siamo noi allora che formiamo il peccato?
No, esiste già in nuce in noi, ma noi possiamo alimentarlo o no.
In base a questo Dio ci giudicherà?
Non ci giudicherà, ma ora, adesso ci può o no venire incontro.
Il credere cosa ci serve poi nella vita quotidiana?
E' Dio che ci serve perché credere in noi per Lui è servizio.
Come avviene nella vita questo suo servirci?
Mettendoci a disposizione il suo modo, il suo spirito per ogni cosa.
Grazie, intanto. Secondo lei, perché l'ho intervistata?
Perché dentro di sé ha già una fede interessante per sé e per me.
Con quale augurio possiamo salutarci?
Proviamo queste cose per credere.
Grazie.
Prego.

BALLIAMO IL ROCK AND ROLL


Su, lasciamoci andare, sganciamoci e scateniamoci e iniziamo a ballare, senza remore e timore, dondolandoci, rotolandoci a terra se non sappiamo come, ma non restiamo a guardare. Corpo e anima son fatti per questa musica bestiale che fa uscire dall'uomo animale il meglio di sé. E se da sé altrove andrà, qualcun altro si unirà, in una onda di umanità che pare impazzita, ma che sprizza il chiaror della vita. Il ballo è sobbalzo, traballo e iperballo, subballo ma mai un imballo che blocca in sé e per sé. Se vuoi uscire fuori di te e non impazzire, devi proprio ballare a tutto spiano, chi va piano è matto e non andrà lontano. Balla invece spiazzando dalla piazza alla circonvallazione, tra le auto l'emozione cavalcherà, e ti sentirai l'eroe del rodeo, e quasi quasi un dio. Non fermarti a respirare, potresti anche morire, vivi a ritmo del cha cha, non importa chi la sa. Questa è vera liturgia che ti abbraccia e porta via, che stiracchia le tue braccia finchè dura questa pacchia. Non guardare dove vai, tu non devi aprirti mai, basta il vortice di danza che con te e con tutti avanza, non ti lascia lì da solo, ma ti stringe nel suo gioco. Salta, pesta, slancia, piega, molla e smolla la tua mano, non cercar di andare piano, questa musica speciale porta un dono eccezionale: è saltar sopra una mina, è una tattica divina. Schiere d'angeli dal cielo chi la balla è proprio vero, vero dio e vero umano...Su, balliamo, dammi mano!
 
 

IL TESTAMENTO DEL CAPITANO


Morirò...ma 'seppellitemi poi con i miei stivali'. E fin qui ci può stare. Ma quella storia di farlo a pezzi no, proprio no. Una macellata così non è degna da menzionare nemmeno per un soldato il più violento al mondo. Lasciare un pezzo qua e là, e segno di lui per patria, mamma, per noi, per la montagna dove ha combattuto, per la morosa poi...sì, e che faccia farà quella? Questo testamento è fatto senza la testa...no, non intendevo di tagliare quella, no, non così. Intendevo che manca di senso e di tatto; ma forse in questa guerra appena passata, ogni messaggio passa e viene annientato, insieme ai nostri tanti morti, e quindi anche al testamento del sior capitano. Alla sua mamma porteremo il suo cappello, nient'altro. Alla patria lasceremo la sua baionetta in ricordo della battaglia, nient'altro. Al nostro battaglione resterà la divisa insanguinata, nient'altro.  Sulla montagna lasceremo gli scarponi, li metteremo ai piedi di quella croce sulla sua vetta, nient'altro. E alla morosa?...Porteremo la piuma del suo cappello, per mostrarle l'amore di quell'uomo pesante nelle guerre ma delicato nell'amore, e come piuma il suo ricordo peserà nel suo cuore. Così faremo, e non a pezzi, come ha scritto lui...Ma, forse, a pensarci bene, i pezzi glieli abbiamo sistemati già, e proprio secondo quello che avrebbe desiderato lui con quel suo testamento.
 
 

RIMARRO' VERGINE?


Semplicità e naturalezza perdon di freschezza in questa società dove la verginità è derisa, obsoleta e trascurata, se non a volte osteggiata. Non si tratta di essere sverginati a livello sessuale, ma di far entrare il sesso in penetrazione più profonda: quella mentale, del cuore e dell'animo. Senza far nulla, facciamo di tutto, in questo caso, non solo seguendo il mondo, ma anticipandolo. Modernità del mondo è vecchiezza e muffa in confronto alla profezia che effonde la verginità. Già, ma come faccio a rimanere vergine in questa natura delle cose sempre più inquinata e inquinante? Chi ci salverà? E da che dobbiamo salvarci? Da stupratori occulti o da desiderati amanti? E amor di cose, d'animali o di persone, qual me stesso? Rimarrò vergine, se mai lo sono stato? E che stato è la verginità? Purezza, amore e sesso in combinazione, o macedonia di bello e piacere che trabocca e sempre più richiama a sé? Traversare queste domande e i relativi dubbi mi fa sentir per un certo senso un po' perverso e un po' diverso, ma mi fa tornare all'origine della mia identità. Che sia metà d'amore e metà di sesso? Accontentando la questione nell'una e nell'altra situazione? Comunque, dopo tutto questo andare, mi sono divertito a sognare un mondo più giusto, più bello, più vero, ma soprattutto più vergine di me.
 
 

CAPUT DE FINE


L'attenzione cade sempre dove il dente duole, e non si tratta più allora di sentire il dolore, ma di vederlo, seguirlo fin là dove lui ti indica la porta per uscire da quella situazione sgradevole. Allora, proprio perché siamo deboli, ci affidiamo a questa guida, anche se non sappiamo dove andremo, dove ci porterà, dove andremo a finire. Ma tra il continuare a vivere così e il finire non si sa dove, adesso scegliamo il finire, già proprio quello che odiavamo dall'inizio e che da sempre cercavamo di evitare, sperando di non finire mai lì. Ma adesso che siamo in viaggio verso il nulla, ecco che per paradosso cresce la speranza, mentre prima, sempre per assurdo, le nostre certezze vacillavano. C'è sempre un controsenso in ogni senso della nostra vita, è che finchè la vita non è messa alla prova, non proviamo nient'altro che il nostro senso, che si rivela essere solo in parte strada, proprio come ogni senso unico: ce n'è anche un altro. Senso inverso, che spesso è sostituito e dà origine al doppio senso, e al senso interno, al non senso, e così via. Ecco perché diciamo che tutte le strade conducono a Roma, anche se non è vero, ma ci basta l'illusione per darcene la speranza. Già, l'attenzione, come dicevamo all'inizio, cade sempre là dove c'è dolore e fragilità.

 

PROVERBIO IN EMORRAGIA


Chi cerca trova, ma
chi trova smetterà di cercare?
La ricerca sfama o inghiotte solo?
Solo cercando troverai qualcosa,
ma quel qualcosa a cosa serve non sai.
Se sai di sapere è inutile cercare,
se sai di non sapere non sai come cercare.
Cerca e cerca, tutto sempre a cerchio
nulla cambia, nulla succederà oltre ciò,
è come il cane che si morde la sua coda.
Ma cosa succede nella città a chi interessa,
se non ha chi ha gli interessi per sé su di essa?
E lui sì che ti cerca, ti scova e ti trova e non smetterà.
E' vero per lui che cercando trova, e continuerà,
in forma assillante, in modo raggiante, in forma esaltante.
Chi ti cerca, ti trova sempre; ma se tu cerchi lui, mai lo troverai.
Nella vita di questo mondo, tutto a cerchio va sempre in tondo,
puoi girare e rigirare il tuo mappamondo, ma andrai sempre a fondo
non è pessimismo, è cercar fuori di esso chi può aver successo,
e quello sei tu.
Chi si cerca, si trova.

APEROL MENTALE


Di per sé non c'è nulla che invada la mente senza che ci sia un incidente. Ogni ingresso mentale prende forma, ma appena esce e riesce a uscir nel mondo, appena fuori, ecco che si deforma e prende tutto un altro aspetto. Per cui diciamo che non intendevamo questo o quello, e gli altri interpretano male quello che noi pensavamo in bene, o prendiamo tutti quanti lucciole per lanterne. Il mondo è fatto così, e la mente non lo vuole così. Così è se vi pare non pare più a nessuno così, per cui nel grande marasma appare all'orizzonte solo la formula magica dell'apriti sesamo, che applicato a noi vorrebbe dire: apriti cielo! Non basta più il nostro cielo a raccogliere in sé tutte le nostre fandonie, deve aprirsi a un'altra dimensione, ad una extraterrestrità dove tutti ci sconosciamo come alieni universali della stessa banda. Come ragionare, a questo punto, per evitare queste situazioni spiacevoli e disdegnose? Non abbiamo la soluzione certa; ma se ci sediamo insieme, un giorno qualunque, e ci beviamo sopra uno spritz o un succo di frutta, forse cominciamo a dubitare che il punto di forza dei nostri ragionamenti, proprio quella nostra mente, possa sedersi con noi in quel momento.
 
 

DA GRANDE FARO' IL BOSS


Ora sono ancora piccolo, sì. Mi tocca sottostare ed essere un tuttofare. Ma ancora qualche anno, e poi, sì, anch'io farò il boss. Non mi va di dover sempre obbedire e mai comandare. Chi credete che sia? Il figlio della serva? Eh, no! Bisogna imparare a vivere, oggi, e non lasciarsi calpestare. Voglio avere un comando, una squadra a mio servizio, nel gioco, negli affari, nel potere, nel godere. Vedo tutto attorno a me che procede in avanti, e io non voglio restare indietro, essere scartato e disprezzato, perché sono più piccolo di loro. Aspettate ancora un poco, e vedrete che vi farò pagare tutto quello che avete fatto pagare a me, anzi ci metterò anche gli interessi. Intanto mi tocca star qui a imparare cose che non potrò mai sopportare: la storia delle ingiustizie, delle prevaricazioni, delle cose che non si possono mai sistemare, delle crisi continue in tutti i settori: meno soldi, meno valori, meno onori! Ma quando farò io il boss, farò giustizia e sistemerò tutto, per quanto mi riguarda. E sono certo che darò aiuto, lavoro e sistemazione a tutti quelli che adesso vanno in giro disperati e oppressi! Farò il boss della giustizia, farò lo sceriffo senza stella. Senza, sì, perché se dovessi seguire le regole, mai diventerò boss, resterò il solito pirla. Ma le cose cambieranno; intanto, mi tocca svolgere il compito ingrato della maestra: "Cosa significa per te essere un cittadino...Ragazzi, vi raccomando, scrivete questo tema con il cuore, prima che col pensiero!".
 
 

TUTTI NEL CIRCO


Un giorno gli animali del circo presero una grande decisione: fare una rivoluzione. Non si trattava di andare contro qualcuno o sfasciar qualcosa, ma mettere al contrario ciò che finora era stato al contrario: avrebbero messo gli uomini al posto loro. Sì, proprio i loro addomesticatori, sarebbero stati addomesticati. Così, iniziò il leone: fece imparare al suo domatore ad accumular la forza, a calcolar il balzo, a muoversi a comando, a superare il fuoco attraverso il cerchio, a superare l'esitazione e la paura, a non temer l'incitazione, ma a favorirla per migliorare. Poi, l'elefante: insegnò al suo domatore a equilibrarsi col peso su uno spazio limitato, a muovere a danza leggera ciò che sembrava essere pesante, a esibir la grazia invece della disgrazia, a non aver fretta nel muoversi, a controllar le mosse con più effetto d'arte che di abitudine. Poi, fu la volta dei serpenti: insegnarono al loro incantatore a non incantarsi invano, a contemplare meglio la scena, a non metter veleno, ma solo portar timore in sé per aver rispetto altrui, a saper svincolare nelle giuste occasioni, a seguir meglio la sinfonia con la quale muoversi in sintonia, a star nascosti fin quando non si è chiamati, a non uscire allo scoperto se non con prudenza. Le scimmie addomesticarono insegnando a non scimmiottare, a non muoversi a ufo e senza meta, a non agitarsi e non farsi dispetti inutili, a saper condividere, a muoversi meno per sé e più in squadra, in tattica d'insieme. E così via, tutti quanti gli animali del circo, insegnarono all'animale uomo, addomesticandolo, ad essere un po' più capace di vivere nel circo della vita.
 
 

L'INVESTI(GA)TORE


Un incidente non più grave di tanto, ma a lui interessava ora sapere cosa esattamente era successo; e così, da investitore, cominciò a diventare investigatore. Cercando qua e là prove e testimoni, riuscì a trovare una pista a cui lavorare; e approfondendo sempre più la cosa, vide che la situazione non era così gravosa, anzi, richiedeva passione, merito e intelligenza, anche di più: arguzia e intuizione. Che non mancavano affatto all'investitore investigatore. Giunse al punto in cui ricostruendo il tutto si ritrovò a suo favore tutta la situazione, sia dal punto di vista economico che giuridico, evitando ogni penale. Rafforzato da questo esito, provò a spingere un po' oltre, per portare a sé più risultati possibili, facendo anche figurare la vittima del suo incidente come un distratto e un perdente. Ma non aveva calcolato la sua vittima avvocato, per di più in quel settore riguardante la questione. Qualche volta la giustizia si avval della malizia per giocare con astuzia e schiarire un po' le cose. E così purificato il suo atto è condannato. E così da investitore diventando investigatore, ora deve in retromarcia buttar via la mela marcia: la sua vittima investita la giustizia fa invertita, ora lui da investigante fa figura di un furfante. L'avvocato che lo accusa mezzi termini non usa, e così gli fa pagare tutto quanto il malaffare.
 
 

TEMPO CHE FA IL MATTO


Ogni cosa a suo tempo, non è poi tanto vera, se questa sera il tempo ne sta combinando di tutti i colori: piove con il sole, sembra venire il brutto temporale ma poi se ne va questa situazione, una grandine improvvisa fa scappar tutta le gente e per niente: torna il sole a capolino e asciuga tutto nel giardino. Un tempo che fa il matto, come a uscir di scatto dalla prigione dove era recluso da ore e ore. Ma quel che è peggio è la pazzia che contagia anche la via: scappa via qua e là la gente, sotto l'albero oscillante, il pericolo imminente dice tutto e poi fa niente. Dalla finestra torna ai fornelli chi si sente preso un po' per i fondelli; in una tale situazione ci vuole un the a consolazione. Or riguardo alla finestra: ecco il matto che fa festa, non è il tempo è il suo gemello, uomo matto è proprio quello! Al cantar qua e là si mena, con la bici e mai non frena. Proiettato più non vede e finisce nella siepe, mentre un tuono gli suggella che è finito giù da sella. Impazzito è questo tempo a tracollo su un cavallo sembra proprio un po' sembrare ma c'è sempre da ammirare questa matta situazione che continua in gestazione, senza niente partorire, solo aria e starnutire. Non si sa ora più che fare, fare il matto certamente non è solo della gente, forse il tempo un poco a specchio ce lo dice in un pastrocchio!
 
 

DI COSA E' FATTO L'UNIVERSO


Qual è la materia primordiale e la più importante in assoluto che accomuna tutte le realtà del nostro universo? Ce lo siamo chiesti, e abbiamo ottenuto la risposta. Ecco in che modo e che cos'è. Il nostro universo è fatto dell'elemento "W". Non è visibile ad occhio nudo, e nemmeno attraverso particolari strumenti tipo microscopi, in quanto è e non è una particella fisica, molecolare. Non è neppure un atomo, che sarebbe in qualche modo verificabile. E' una specie di via di mezzo tra una immagine reale e una infinita astratta, racchiusa in questo elemento chiamato appunto "W". Come si è arrivati alla sua percezione? Già nella domanda c'è parte della risposta: attraverso la percezione. Ma certo - diciamolo subito - questa è solo la prima intuizione, che verrà avvalorata e confermata in seguito. Come? Partendo da una realtà (fisica o spirituale) l'intuizione fa emergere da essa l'energia della vita che vi è celata, e accostando alla stessa intuizione la conferma concreta che è il soggetto che si trova nella situazione. Ogni soggetto che intuisce una realtà ne può far uscire l'elemento "W" che facendo da tramite fra soggetto e realtà manifesta l'universo in quella situazione. In parole povere, si fa uscire allo scoperto ciò che non è scoperto, ma solo coperto dalla realtà. Ogni realtà ha in sé l'elemento universale "W"; se lo fai emergere con la tua intuizione, fai partorire - per così dire - in quella situazione la coscienza universale. L'universo è già tutto presente in nuce e in gestazione; occorre aiutarlo a venire alla luce coscientemente.
 
 

ALLA (RI)CARICA!


Anche se subito si può pensare a un grido di guerra, quella del caricare è un'azione che fa parte di ogni settore della nostra vita. Andare quindi non solo alla carica contro il nemico, ma anche aver carica giusta per creare amicizia o incontrare ben un già amico. Ma anche personalmente, quando diciamo a noi stessi che dobbiamo deciderci, darci una mossa, non è come dire a noi stessi: su, alla carica, diamoci un po' di energia, ricarichiamoci, non lasciamo esaurire la nostra energia vitale? Ricaricarsi è tonificarsi, purificarsi, andare a prendere la giusta carica, e non una scarica che ci mandi in tilt. Infine, anche il settore religione non fa eccezione: andare alla carica verso qualche santo, verso quel dio che alla richiesta nostra fatta con la nostra energia deve ricaricarci; oppure glielo chiediamo con l'energia totale, a pieno carico: quella che in altre parole è la concentrazione, che se spinta al massimo fa più male che bene alla religione. Fanatismo e settarismo ne sono le conseguenze. E qui allora torniamo al primo significato: quello dell'attacco dei soldati blu contro gli indiani. "Alla carica!...". Sta di fatto che nella vita quotidiana questa è l'unica interpretazione della quale siamo coscienti, e che in concreto non ci toccherà mai; mentre le altre interpretazioni, quelle delle quali siamo incoscienti ancora, ci fanno agire alla carica di noi stessi, degli altri e del mondo intero, pensando di ottenere vittoria, ma ne veniamo spesso sfiancati, abbattuti, sconfitti e annientati.
 
 

IL SOMARO


La vita del somaro è soprattutto amaro, non c'è di che. Ve lo dice uno che se ne intende, che del somaro ha fatto la storia, studiando poco e l'essenziale, portando come soma soltanto altri somari, e per di più per gioco e non per guadagno. Oltre a perder tempo, soldi ed esperienza il mio esser somaro mi permetteva di avere il tempo per godermi l'ozio. Già, un grande fardello, se vogliamo, ma altrimenti una goduria estrema per un somaro come me. Ogni tanto un carico prezioso, ma sempre per altri, e mai per me. Ogni tanto amici e gente contenta, spesso da portare, ma sempre anche da lasciar andare. Solitudine del somaro è gioia e dolore per lui. Per me, altrettanto. Ma è proprio questa la soma vera e propria del somaro: la sua identità. Che poi per compassione o per condivisione lo si ponga a un livello più alto, in una fiaba o in poesia, non cambia molto. Somari si nasce, non si diventa. E paradossalmente, sempre per dare un alone di dignità anche al somaro, ecco che è stato forgiato anche il detto contrario. Ma si sappia bene, gente, che chi somaro è, e dice di non essere nato così, non si ricorda che dall'eternità lo è e sempre lo sarà, anche se da nobile cavallo si vestirà. Non si può cambiare d'identità, ma solo falsificarne la carta. Senza contare che, credendo nella reincarnazione, se ora sono un somaro, chissà mai quale inferiore entità incarnavo prima!
 
 

IL CERINO E LA CANDELA


Un cerino e una candela stavano tra loro a discutere all'ombra dell'ultimo sole del giorno. La questione era questa: perché il cerino doveva accendere la candela e poi morire quasi subito, mentre la candela una volta accesa avrebbe vissuto molto più a lungo? Da parte sua la candela cercava in tutti i modi di convincere il cerino a esaudire il suo desiderio: "Sei fatto per questo tu, io no!" e anche: "Una volta accesa, per molto tempo ti ricorderò con gratitudine!". Ma il cerino della gratitudine della candela non sapeva cosa farsene. Si era anche irritato alla richiesta di lei, adducendo il tradimento parentale - parenti serpenti citando il detto - perché fiamma del cerino e luce della candela avevan del sangue in comune. Intanto calò la notte, e entrambi cercarono con fatica di prender sonno sotto quell'albero che avevano condiviso come riparo lungo il giorno. La mattina seguente la discussione si riaccese, ma ognuno affermando con tenacia la propria posizione. Ore e ore, finchè verso mezzogiorno il sole fece penetrare i suoi raggi folgoranti di luce e di calore sul cerino e sulla candela. Ma mentre il cerino rimase intatto, la candela si sentì liquefare pian piano, perdere le forze, sciogliere la vita, riducendosi sempre più a massa informe, e morì così. Il cerino, osservandola con una certa commiserazione, sentendo ormai risolta la cruciale questione, si mise disteso a rilassarsi incautamente sotto quel sole raggiante, che con il suo potente calore accese il cerino, che finì per rotolare disperato e urlante di dolore tra la cera liquefatta, che lo assimilò al suo destino. Si ricongiunse così anche quella parentela di sangue che era stata oggetto di lite nella vita e che ora segnava oltre la morte la pace eterna.
 
 

NON AVER FRETTA


Non aver fretta nella vita, la vita va già di fretta: dalle una calmata!
Dicono che la fretta è cattiva consigliera. Direi piuttosto che è furba, perché con l'illusione di far tutto e subito ti fa veder solo te stesso, il tuo consiglio, e più nessuno, nemmeno lei, che nascosta dietro di te che ti agiti, se la ride perché ti ha ingannato. La fretta non è altro che la cugina dell'egoismo, anche se alla lontana. Infatti, piano piano (anche se lei è la fretta) lei fa le cose bene, e mostra a te di fare le altre cose in fretta, altrimenti tu perderai l'occasione per te. Ti fa mettere illusoriamente in autodifesa il tuo io, che parte in fretta a fare le cose per sé e contro tutti, isolandosi, finendo dentro di sé. Insomma, un perfetto tranello mascherato, fatto con malizia e senza alcuna fretta dalla fretta, che solo a te si manifesta così. Occorre smascherarla. Come? Basti passare dall'illusione di fare in fretta alla coscienza di essere in fretta: ecco, allora uno si accorge e dice a sé: ma perché sto facendo le cose così? Le potrei rovinare, e così anche me stesso e gli altri. Solo allora potrò regolarmi in tutto con questa bussola: più in fretta di così, si muore, meno in fretta di così, si vive.

 


HO IN SERBO


Ho in serbo tante cose per me e per te, ma subito non mi esprimerò, in quanto ancora non so distinguere quelle da tenere per me e quali da offrire a te. La mia buona intenzione richiede attenzione, abbi pazienza. Intendo conservare intanto al meglio queste cose, ma ho anche paura che cresca la muffa o che passino oltre il tempo presente e non servano più. Pazienza e urgenza mi sveglian coscienza ma quella mi dice ancor di tacere. Rimango in attesa e mi metto in riserva, in serbo me stesso ancora io ho. Vorrei far uscire da me ora il meglio ma poi se rovino chissà che sarà. Rispondo a me stesso che non è ora, va meglio di allora ma non siamo già. Intanto ora ammetto che cresce di getto la forza e la voglia di dir tutto a te. Rispondo a me stesso di quel che decido, se non per inciso, perché siamo in tre. Non sono sol io, ci sei anche tu, e poi tra di noi questa servitù: è quel che doveva servire a me per mostrare a te, ma che devo servire e serbare ancora così. E così, tu non puoi ancora avere da me quel piacere che voglio per te. Ho in serbo qualcosa che ormai più non serve perché, servendo, al comando s'è fatta per noi.
Serbar nella vita e non mai osare farà comandare tutt'altro che te.

 

CANTICO PEL CREATORE


Laudate siate, o tutte le Creature,
perché voi lodate nostro Signore!

Laudato sii, fratello Sole,
perché ci illumini il volto del Creatore.

Laudate siate, Luna e sorelle Stelle,
perché stillate nelle nostre notti la sua carezza.

Laudato sii, o fratello Vento,
perché ci fai sentire che c'è Qualcuno nell'aria.

Laudata sii, sorella Acqua,
perché ci dai la purezza e la freschezza di Lui.

Laudato sii, fratello Fuoco,
perché ci mostri come Lui accende l'Amore.

Laudata sii, Madre Terra,
perché ci mostri Lui Padre vicino, quaggiù.

Beati quelli che attraverso voi
sanno ricevere in dono da Lui.

Beati quelli che insieme con voi
gioiscono e soffrono il destino con Lui.

Laudata sii, o nostra sorella Morte,
insegni che Lui muore ogni giorno con noi.

Beati quelli in sintonia con voi,
allora Lui sarà in sintonia con noi.

Laudate et rispettate tutte le Creature,
che ci fan vivere del nostro Creatore.

RITRATTO DI UN SANTO


Non è che sia cosa buona e giusta l'essere finito immobile in un quintale di gesso; e anche se è bella la scultura, non può la santità essere reclusa dentro quattro mura. Sarà anche bello stare sotto il capitello, ma dopo anni e anni, tra ragnatele e muffe, come può un santo non arrivare a dire: uffa! Chissà quale avventura, chissà che vita dura, tra sfide e ardite mosse, tra profezie e percosse, osanna e irritazioni, eretici e questioni, preghiere e umiliazioni, rinunce e ovazioni, deserti e patimenti, e poco pane ai denti, col cibo della fede poi far testimonianza, più fede che creanza, per forza la credenza, le folle a me attirate, e a Dio le ho rimandate; e tutto in movimento, veloce più del vento; attento anche al rosario, ma specie missionario; miracoli giù a iosa, ad augurar la sposa, ad affidar marito, a chi si vuol guarito, al ricco e al perdente, al povero e al presidente; e tutti a far la fila, in procession colonna, e qui dalla colonna mai più mi sposteran. Ahi, che santità perduta! Non sono io quello di qui, non posso essere costì, non mi rispecchio in questo sguardo, io con gli occhi invece ardo; non c'è riscontro in questa mole, io son leggero del Signore; non mi rivedo in questo stile, mi sembra proprio d'esser vile; non sono ad agio in chi si accosta, mi sembra sempre lo faccia apposta; preferirei cadere giù e non far niente ora di più. Cadere a pezzi in questo tempio, esser raccolto da questo scempio; tornare a vivere laggiù nel mondo, per fare il santo fin nel profondo, essere accolto in umanità, questa è la vera santità.
 
 

MUCCA IN ALPEGGIO


Volevo mandarvi da qui una cartolina, ma forse è meglio spedire a mente quello che vuole essere un richiamo alla serenità. Certo nella stalla questo non è possibile, tra essere ingabbiati e ed essere munti a ore stabilite, senza alcuna libertà e nessun passeggio, come non richiamare voi a questo alpeggio, anche solo idealmente? Certo, ora io qui ci sto in carne e ossa; sì, proprio quelle che un dì in modo struggente e cruciale dovrò lasciare al mondo del prodotto da cibare, ma intanto mi sto godendo appieno questo spazio e questo tempo, miracolo di vita che tutti hanno ma che non sempre sappiamo gustare appieno, al massimo, all'ottimo. Io, qui, ora, posso dire di sì: sono pienamente appagata, in questo raggio di vita breve. Con un fiore in bocca, mi godo la mia postruminazio, mi metto in digestione delle cose che ho gustato, di quello che vedo, del profumo dei fiori, del suono dolce degli usignoli, della carezza del vento, del panorama di questi monti di miriadi di verdi prati e boschi...e guardo, lassù, a quella vetta: c'è anche un ciuffo di neve, come a richiamarmi la frescura e l'ombra alla quale mi posso andare sotto l'albero a riposare. Che voglio in più da questa vita? Un prolungamento del tempo, un allargamento dello spazio? No, ho già tutto in questa briciola di alpeggio; e se so che andrà poi sempre peggio fino alla fine, il mio fine l'ho raggiunto e contemplato, e nella natura mia e attorno a me ho vissuto e ammirato. Potrò specchiarmi ogni volta in questo specchio dell'alpeggio con la mia mente, finchè la vita sarà condotta sempre più verso il mio niente. So che il mio destino è il macello, ma intanto godo e ringrazio di questo alpeggio così bello!

 

TURIBOLI ARCANI


In tante liturgie dell'umanità appare uno strumento misterico e pure olistico, che colpisce sempre con meraviglia l'occhio umano, che perdendosi nell'alone del mistero creato dall'incenso e dall'atmosfera indefinibile, apre le orecchie della mente e la bocca del cuore, mentre l'anima si concede al profumo soave e si lascia dondolare, quasi cullare, ad altalena, proprio come fa il movimento del turibolo. Un arcano aggeggio, ma anche uno strumento moderno, che batte in volata ogni forma di psicologia e di terapia psichica, ogni integratore fisico e mentale. Forse ci affascina, questo andar avanti e indietro ondulatorio, perché rispecchia il nostro essere gioiosi bimbi, in fondo in fondo; o forse perché ci richiama le onde del mare, al quale amiamo accostarci con misterioso tremore e con tanto amore. Ma c'è anche il fatto che quel segno liturgico ci richiama il passato, l'esperienza, ci rinsalda e ci rincuora con essa. Per cui ci sentiamo in quel momento di essere anche noi turiboli arcani, anche se nella vita poi finiamo sempre e solo cani tribulanti che si agitano avanti e indietro, che invece di incenso fanno tanto fumo e niente arrosto, che alternano liturgie alle liti e cagnarre e bagarre. Forse perché nei nostri turiboli non mettiamo mai la prima cosa, l'essenziale: il fuoco dell'amore.